La gestione della demenza e dei disturbi cognitivi è una priorità nel settore dell’assistenza agli anziani. I dati di prevalenza parlano chiaro e le stime epidemiologiche non lasciano dubbi: le patologie neuro-degenerative sono e saranno sempre più un elemento caratterizzante la vita di anziani e famiglie, una grande sfida sia per la pratica clinica che per i modelli assistenziali da mettere in atto. Questa patologia pone infatti almeno due grandi sfide: da un lato, dà un significato rinnovato e molto concreto al tema dell’integrazione socio-sanitaria; dall’altro, richiede una rinnovata modalità di sviluppo di servizi a cavallo tra domiciliare e residenziale.
Rispetto all’integrazione socio-sanitaria il tema è lampante: alla gestione clinica (dalla diagnosi alle rivalutazioni) e terapeutica – farmacologica, si accostano le necessità assistenziali e di vita quotidiana che questa patologia impone. Questo accade non solo in termini teorici (lasciando quindi spazio a elucubrazioni sui modelli di integrazione socio-sanitaria) ma in termini molto pratici e concreti nella vita delle famiglie che agiscono direttamente l’integrazione tramite le loro azioni. Rispetto ai servizi, considerando che sono patologie che vedono un decorso, talvolta rapido talvolta più lento ma sempre in crescendo, la demenza viene spesso gestita inizialmente a casa per poi arrivare a punti esplosivi che richiedono l’attivazione di servizi ad alta intensità o di tipo residenziale. Nel mezzo, la patologia può essere gestita in servizi di diurnato (con laboratori e attività anche per i caregiver), toccando così tutta la gamma esistente. È quindi un filone altamente complesso che potrebbe essere facilmente usato come pilota per il ripensamento dell’intera filiera anziani. Per questo motivo, prima ancora di analizzare la rete di offerta è necessario chiedersi:
- Che tipo di visione strategica si sta promuovendo circa la presa in carico delle demenze?
- È coerente con le necessità delle famiglie che affrontano questa situazione?
Per comprenderlo è necessario tornare al Piano Nazionale Demenze (PND) e vedere dopo sette anni a che punto sono le Regioni con la sua attuazione e implementazione. Le evidenze aggiornate al 2021 vedono il nostro Paese ancora in una situazione che potremmo definire a “macchie di leopardo”: la diffusione dei servizi demenze e Alzheimer è molto eterogenea e la rete socio-sanitaria è solo in parte pronta a ricevere questo profilo di utenti.
Alcuni dati e trend recenti sulla demenza in Italia
In Italia si stima (Vanacore et al., 2019) che gli anziani affetti da demenza siano circa 1,1 milioni, di cui oltre 600.000 con demenza di Alzheimer, con una prevalenza che aumenta vertiginosamente al crescere dell’età (Istat, 2021). La demenza si presenta come una tra le sfide maggiori legate all’invecchiamento, sia in termini di prevalenza nella popolazione, che rispetto alle ricadute sociali (una persona ultra ottantenne con demenza su quattro soffre di ansia o depressione cronica, Istat 2018) ed economiche (i costi socio-sanitari annuali annessi alla demenza oscillano tra i 10 e il 12 miliardi di euro, ISS, 2021) connesse alla malattia. A questo si aggiunge il disallineamento tra la configurazione dell’attuale rete di offerta socio-sanitaria e la prevalenza della malattia: i gestori dei servizi riportano (4° Rapporto Osservatorio Long Term Care, 2022) che la presenza di anziani con demenze ha raggiunto tra il 60% e l’80% nei Centri Diurni Integrati (CDI) e nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Questa distribuzione impone una revisione dell’idea di nuclei Alzheimer circoscritti, in quanto questo target di utenti è diventato ormai quello prevalente nei servizi.
Alla luce della rilevanza del fenomeno demenza per il sistema sociale, socio-sanitario e sanitario italiano, lo scopo del lavoro di ricerca pubblicato nel Rapporto OASI 2021 del CERGAS Bocconi è di approfondire criticamente lo stato di implementazione a livello regionale del Piano Nazionale Demenze, la fonte nazionale più completa di riferimento sul tema, selezionando contesti in cui l’applicazione è a uno stadio avanzato per trarre lezioni utili per il policy maker circa la gestione della demenza a livello locale.
Quale ruolo per il Piano Nazionale Demenze e per le Regioni?
Il Piano Nazionale Demenze (PND) è stato formulato da Ministero della Salute, Regioni, Istituto Superiore di Sanità e le tre Associazioni Nazionali dei pazienti e dei familiari di persone con demenza e approvato nel 2014. Scopo del PND era originariamente (ed è tuttora) quello di fornire un quadro di riferimento per le politiche, gli interventi e i servizi per la cura delle demenze, unendo gli aspetti clinici, assistenziali e sociali. Il Piano può essere visto come la cornice dentro alla quale le Regioni sono state invitate ad attivarsi per promuovere l’avvio di una riflessione prima strategico-politica e poi implementativa circa i disturbi cognitivi.
Il testo si articola in quattro obiettivi strategici per ognuno dei quali vengono proposti anche sotto-obiettivi e azioni in modo da orientare le Regioni nella definizione di piani operativi. In estrema sintesi i quattro obiettivi riguardano:
- “Obiettivo 1: Interventi e misure di Politica sanitaria e sociosanitaria”: si intende qui promuovere azioni che siano orientate a una migliore comprensione e conoscenza della patologia sui tre livelli i) della ricerca scientifica, ii) dell’epidemiologia e della diffusione del fenomeno in Italia, e iii) dell’opinione pubblica e cultura generale.
- “Obiettivo 2: Creazione di una rete integrata per le demenze e realizzazione della gestione integrata”: ci si rivolge in questo caso alla necessità di istituire una rete dedicata di servizi che dal momento della prevenzione e della diagnosi fino alla gestione della malattia conclamata permetta di prendere in carico non solo gli aspetti clinici ma anche socio-assistenziali.
- “Obiettivo 3: Implementazione di strategie ed interventi per l’appropriatezza delle cure”, che richiama l’esigenza per le regioni di definire un PDTA o più in generale richiama la necessità di codificare percorsi di presa in carico che evolvano seguendo le necessità dell’anziano e del decorso della malattia centrando gli interventi sul domicilio, sulla appropriatezza farmacologica e sulla diagnosi tempestiva.
- “Obiettivo 4: Aumento della consapevolezza e riduzione dello stigma per un miglioramento della qualità della vita” inserisce nel PND il tema dei caregiver, della loro formazione e del supporto da garantire loro, ricordando che il mantenimento al domicilio si basa anche sulla capacità della rete famigliare di gestire nel tempo la patologia e riconoscendo la complessità del ruolo di caregiver.
Dopo diversi anni dalla sua emanazione il PND ha ancora diversi pregi, ad esempio: colloca la patologia in una prospettiva più ampia, multi-dimensionale e con una attenzione all’evoluzione della malattia stessa; mette gli aspetti clinico terapeutici in relazione con altri quali, ad esempio, quello della conoscenza del fenomeno e del ruolo dei caregiver; include esplicitamente le associazioni e le realtà locali territoriali.
Il PND traccia le linee strategiche di intervento, lasciando alle singole Regioni il compito di declinare gli obiettivi e implementare la rete di offerta nei diversi contesti. A che punto siamo?
L’analisi condotta sui Piani Regionali
L’analisi svolta circa lo stato di implementazione del Piano Nazionale Demenze (PND) a livello regionale si fonda su due pilastri:
- Analisi desk dei contenuti dei Piani Regionali, classificando i contenuti rispetto ai quattro obiettivi del PND. Per le sole regioni che hanno recepito il PND, è seguita un’analisi che ha incluso tutti i documenti istituzionali (leggi, delibere, atti di indirizzo, etc.…) che ne sono conseguiti per ottenere una mappatura aggiornata e strutturata dello stato di implementazione del PND a livello regionale. Complessivamente sono stati analizzati 38 atti.
- Individuazione di due casi studio di approfondimento (Regione Emilia-Romagna e P.A. di Trento), scelti per la loro peculiarità (senza che questo implichi un giudizio sulla maggiore efficacia di questi due modelli rispetto ad altri contesti regionali): Regione Emilia-Romagna perché più di altri ha investito e regolato la rete locale dei servizi per le demenze; P.A. di Trento poiché ha maggiormente presidiato il tema del rapporto con i familiari caregiver. Le evidenze preliminari sono state discusse in due interviste semi-strutturate con i referenti regionali sul tema, per validare le informazioni e inquadrare le sfide per il futuro.
- A complemento dell’analisi svolta sui documenti, le evidenze sono state discusse in due interviste semi-strutturate con key informants a livello nazionale sul tema delle demenze.
Si rimanda alla versione integrale del Capitolo per l’elenco completo degli atti analizzati. Rispetto alla mappatura normativa, a luglio 2021 erano solo 12 le regioni ad aver formalmente recepito il PND, di cui solo sette hanno utilizzato la recezione del Piano come momento di riflessione e revisione dell’approccio regionale complessivo alle demenze (Tabella 1).
Da un lato, infatti, ci sono regioni che hanno recepito solo sul piano formale il Piano, ma non hanno specificato (né nella delibera di recepimento, né in successivi provvedimenti emanati sul tema) come intendono declinare gli obiettivi; dall’altro ci sono invece contesti in cui lo sforzo è andato oltre l’adempimento formale e per i quali è stato possibile individuare plurime azioni messe in campo per dare effettiva implementazione alle finalità del piano. Tra queste ultime, è emerso come le regioni si siano concentrate prevalentemente sulla ri-organizzazione della rete integrata di offerta e sulla programmazione dell’offerta, obiettivi profondamente collegati. Infatti, ciò che accumuna pressoché tutte le realtà territoriali (con la sola eccezione del Piemonte sull’obiettivo 3) è la prevalenza di riferimenti agli obiettivi che riguardano l’organizzazione della rete integrata delle demenze (obiettivo 2) e la razionalizzazione dell’offerta (obiettivo 3). Meno diffusi sono invece i riferimenti all’adozione di sistemi informativi e di conoscenza che permettano di acquisire una migliore consapevolezza e rappresentazione del fenomeno delle demenze sul territorio. L’altro obiettivo meno presente negli atti di recepimento del PND è quello relativo alle iniziative finalizzate ad accrescere la consapevolezza e l’empowerment dei caregiver.
È bene evidenziare che oltre al recepimento del PND, la declinazione degli obiettivi regionali è avvenuta successivamente anche tramite ulteriori e diverse norme dedicate al tema delle demenze o all’interno di provvedimenti più ampi (ad esempio, sul tema delle cronicità o dei piani sanitari). Allargando quindi il quadro di analisi ad altri documenti (Tabella 2) si trovano interventi mirati anche agli obiettivi 4 (sviluppo di iniziative per la consapevolezza ed empowerment dei caregiver familiari) e 1 (predisposizione di strumenti e sistemi informativi per una migliore conoscenza e rappresentazione del fenomeno demenze) anche se quest’ultimo rimane a livello aggregato quello meno sviluppato.
Due casi interessanti
Nel Rapporto OASI sono stati poi analizzati anche due casi specifici che portano alcuni elementi aggiuntivi rispetto allo stato dell’arte dell’implementazione dei piani regionali e danno alcune indicazioni circa lo sviluppare piste di lavoro innovative. Nella pubblicazione si passano in rassegna in che modo il PND è stato declinato nei due casi e con che tappe, qui ci si limita a mettere in luce gli aspetti ritenuti maggiormente caratterizzanti questi due casi come punti di forza.
Rispetto al caso emiliano-romagnolo gli elementi di forza riguardano tre temi. Sicuramente l’investimento fatto sull’approccio di rete che supera anche le indicazioni del PND. Sono state, infatti, individuate in modo formalizzato le reti da attivare per la presa in carico della domanda e il metodo di lavoro è stato ampiamente condiviso con i professionisti coinvolti in modo da diffondere una vera e propria cultura della presa in carico della demenza, anche lavorando in modo integrato con il terzo settore. Nel fare questo sono stati ben integrati i CDCD e la rete degli MMG in modo che la sanità del territorio sia effettivamente allineata ai bisogni e alle necessità delle persone con demenza. Un livello di integrazione così profondo è stato possibile anche in funzione di una precisa codifica delle procedure e del funzionamento dei servizi. Definire le regole del gioco è un passo necessario per far si che tutto funzioni in modo agile. L’Emilia-Romagna si distingue dalle altre regioni che hanno implementato il PND per il lavoro fatto sulla codifica dei servizi a livello regionale, sia nel comparto sanitario che socio-sanitario. Oltre ai servizi CDCD previsti sono stati infatti codificati anche i Cafè Alzheimer, i Meeting Point e la rete è stata poi completata anche con tre servizi socio-sanitari che integrano la filiera (Centri diurni per le demenze, Nuclei per assistenza residenziale temporanea, Modello di qualificazione dei servizi sulle demenze). L’identificazione di standard e criteri a livello regionale ha promosso la diffusione di questi servizi e stimolato anche l’attivazione del terzo settore raggiungendo il risultato di una buona capillarità sul territorio e di una presenza estesa rispetto a target di pazienti e caregiver diversi.
Il caso della P.A. di Trento vede tra gli ingredienti fondamentali la collaborazione con le famiglie, riconoscendone il valore quali attori centrali dei percorsi di cura e progettando azioni per il loro empowerment anche al fine di prevenire il decorso rapido della malattia. Tra le iniziative in questo senso si segnala un percorso formativo gratuito rivolto alle famiglie, con l’obiettivo di sostenere e valorizzare il ruolo del caregiver grazie all’intervento dei professionisti sanitari e sociali del territorio, mantenendo una prospettiva aperta che lega il tema delle demenze a una riflessione più complessiva sulle fragilità. In generale,, si conferma la rilevanza dell’aver promosso un approccio integrato alla demenza, in questo caso facilitato dall’aver identificato un attore unico e centrale che si assume il ruolo di regia del percorso (nel caso specifico la Provincia e l’Azienda Sanitaria unica) e che funge da spina dorsale del sistema, incaricata di monitorare e sostenere gli altri nodi della rete, esercitando una funzione di regia di tutti gli interventi. L’esistenza di un interlocutore unico ha anche facilitato l’allocazione e gestione efficace di risorse dedicate e ha garantito una coerenza molto forte tra indirizzo politico strategico e implementazione. Un altro punto su cui sono stati fatti rilevanti investimenti è quello dei sistemi di conoscenza, dato che si sta lavorando per rendere omogenei i flussi informativi tra professionisti ed enti pubblici tramite l’adozione di Adjusted Clinical Groups (ACG).
Rispetto ai casi selezionati, la Tabella seguente identifica i principali elementi emersi.
Come far avanzare le politiche e i servizi per le demenze?
Prima di trarre alcune conclusioni è bene esprimere una precisazione. L’analisi condotta si è soffermata sul tema dell’adozione del PND e in conseguenza sui contesti regionali che formalmente hanno adottato tale piano. Questo non esclude che altri contesti (un esempio su tutti, la Lombardia) non abbiano attivato servizi per le persone con demenze, così come non esclude la possibilità che ci siano stati altri interventi rilevanti al di fuori del PND e dei piani regionali. Fatta questa doverosa premessa è possibile a questo punto provare a trarre un bilancio rispetto a quanto ha prodotto il PND e all’operato delle Regioni.
Rispetto ai quattro obiettivi, certamente l’adozione del Piano Nazionale Demenze in tutti i territori è stato uno stimolo per l’attivazione di reti di servizi. Questo è stato un elemento innovativo nei primi anni di funzionamento, ma necessita oggi di nuova linfa vitale. Le Regioni più lungimiranti hanno continuato a investire sulla rete dei servizi, ma nel complesso la rete dei CDCD è da potenziare, presidiando sia le dotazioni infrastrutturali che le competenze professionali che li animano. Una riflessione dovrebbe essere fatta anche sul modello di servizio: l’esperienza (e l’analisi qui presentata con i casi studio) ci dice che i CDCD considerati di maggior successo non sono quelli che operano come centri iper-specialistici ma piuttosto quelli che hanno fatto proprio la mission di presa in carico omnicomprensiva.
Rispetto agli obiettivi su cui si è meno investito è critico invece segnalare il tema dei sistemi informativi e del monitoraggio epidemiologico. Le lezioni date dagli approcci di Population Health Management sono chiare: non si può offrire una risposta di valore a una popolazione così vasta senza sistemi che siano in grado di predire, attivare precocemente e gestire i follow up prevedendo il più possibile anticipatamente i bisogni. Nonostante le indicazioni del PND fossero chiare, questo è forse l’aspetto su cui bisogna lavorare maggiormente.
I casi studio sono stati utili per portare alla luce due riflessioni sul livello attuativo e sul modello di governance della presa in carico. È molto difficile attuare percorsi di presa in carico integrata quando alle spalle ci sono sistemi di governance altamente frammentati. Le alternative che si pongono e che sono state perseguite nei due casi presentati sono: eliminare la frammentazione istituzionale individuando soggetti ed entità che detengono una responsabilità univoca di tutte le fasi della presa in carico dei singoli percorsi (come nel caso della P.A. di Trento); lavorare sulla condivisione di una cultura diffusa e condivisa che è in grado di agire sui professionisti come collante, superando anche le barriere istituzionali (come nel caso emiliano-romagnolo).
Infine, non si è parlato fino ad ora delle relazioni con il settore socio-sanitario che è co-protagonista insieme alle reti demenze e Alzheimer nel dare risposta alle famiglie. Nel ridefinire la mission del socio-sanitario dedicato al segmento anziani, ampio spazio dovrebbe essere dato alla presa in carico delle demenze con meccanismi di integrazione e raccordo anche con gli altri servizi, cosa che a oggi non è stata ancora fatta in modo diffuso. Allo stesso tempo, si dovrebbe prendere coscienza che anche nei servizi socio-sanitari la diffusione di demenza sta diventando una situazione prevalente e che non può più essere trattata come una eccezione da gestire.
Dunque, investire sulla diffusione di servizi, su sistemi di monitoraggio della popolazione, su meccanismi di integrazione più incisivi e sulle connessioni con il socio-sanitario. Quali altre azioni sono necessarie? Sicuramente non deve spegnersi l’attenzione sul tema, soprattutto ora che si apre un periodo storico particolarmente propizio per avviare una nuova progettazione dei servizi sanitari territoriali con il Piano Nazionale Ripresa e Resistenza. Nessuna iniziativa di cambiamento in tale ambito può prescindere dal considerare le patologie neurodegenerative e il loro impatto, essendo queste per epidemiologia e diffusione tra le più rilevanti nei prossimi decenni.
Bibliografia
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