17 Luglio 2024 | Dati e Tendenze

Meglio a casa? Implicazioni dell’assistenza al domicilio di persone anziane con demenza a Milano

L’articolo presenta una ricerca, realizzata per analizzare impatti economici e sociali dell’assistenza al domicilio delle persone affette da demenza, nel contesto milanese. Il punto di domanda nel titolo rimanda, più che a una risposta alternativa fra sì e no, all’invito a chi si prende cura (caregiver innanzitutto, ma anche gestori di servizi e interventi) di tenere conto della complessità e delle molteplici sfaccettature che caratterizzano le condizioni di vita delle persone anziane con demenza.

Meglio a casa? Implicazioni economiche e sociali dell’assistenza al domicilio di persone anziane con demenza a Milano

Da diverso tempo Fondazione Ravasi Garzanti opera a fianco di famiglie milanesi che gestiscono al proprio domicilio l’assistenza a persone anziane con malattia di Alzheimer. Questo intervento, attivo da circa 15 anni, ultimamente è evoluto in una nuova offerta di servizi, costruita in partnership con diverse realtà del terzo settore. L’evoluzione del percorso è stata accompagnata da una maturazione di interrogativi inerenti gli assetti della cura che l’operare con le famiglie permette di osservare e comprendere, cui la ricerca – realizzata in collaborazione con CERGAS Bocconi1 nel 2022-2023 – ha provato a dare una prima risposta. La lettura congiunta dei risultati offre alcune riflessioni circa la rispondenza dell’attuale offerta di servizi ai bisogni espressi, suggerendo anche possibili soluzioni innovative apprezzate dai caregiver familiari.

 

 

Il contesto generale

La fine della pandemia ha lasciato aperte le questioni relative alla gestione della non autosufficienza in Italia, nonostante i recenti provvedimenti legislativi. Lo stesso modello di cura ampiamente diffuso nei Paesi a Welfare evoluto, largamente condiviso fra la popolazione italiana, cioè l’ageing in place (OECD, 1994) – che prevede come soluzione ottimale che la persona anziana fragile rimanga in famiglia, possibilmente nella propria abitazione – si basa sull’assunzione di una distribuzione adeguata in termini di risorse e di accesso a servizi territoriali e su un assetto di solidarietà familiare e parentale esistente (e funzionante).

 

Le vecchie questioni, ovvero il fatto che la cura delle persone anziane si presenta nel nostro Paese come un vero e proprio family affair (Szinovacz, Davey, 2008) – dal momento che quasi il 90% degli over 65 non autosufficienti viene assistito a casa, senza un’adeguata contro bilanciatura in termini di sviluppo dei servizi domiciliari – paiono rimanere con forza auto riproduttiva. Ciò, nonostante le evidenze che strategie di cura fortemente centrate sulla famiglia mantengono inalterate le diseguaglianze sociali e che l’intrappolamento dei caregiver, in forti e perduranti obbligazioni, rende loro difficile far scaturire capacità di agency per superare fasi e transizioni complicate. Sono queste alcune delle tematiche che hanno generato il percorso di ricerca Meglio a casa?: è una domanda diffusa che coinvolge strategie, risorse, emozioni degli attuali anziani non autosufficienti e dei loro caregiver, oltre che di coloro che lo diventeranno.

 

La demenza – malattia di Alzheimer nel 60-70% dei casi – è una delle principali cause di non autosufficienza e mortalità nella popolazione anziana. Rappresenta un onere sociale ed economico significativo per i sistemi sanitari, le famiglie e le società: i dati OMS mostrano come la demenza costi alle economie a livello globale 1.300 miliardi di dollari (WHO, 2017), e che la metà di questi costi siano attribuibili all’assistenza fornita da assistenti informali (familiari, amici, volontari). La maggior parte delle persone affette da demenza è assistita a casa dai familiari, con un protagonismo al femminile (sia tra i malati, sia tra i caregiver).

 

Una recente pubblicazione dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità riporta per il 2023 una stima di italiani over 65 con demenza pari a oltre 1.100.000, cui aggiungere oltre 900.000 cittadini con Mild Cognitive Impairment (MCI), ossia decadimento cognitivo lieve. L’Osservatorio ricorda poi come siano presenti almeno 4.000.000 di italiani che risultano coinvolti dalla demenza indirettamente, attraverso un familiare.

 

La Lombardia è la regione d’Europa in cui vive il maggior numero di persone over 65: anche questo suggerisce quanto possa essere rappresentativa un’analisi del contesto lombardo, di Milano soprattutto. Secondo una stima riferita al 20222, a Milano vivono 28.576 anziani affetti da demenza (M 7.809, F 20.767) e altre 20.852 persone con MCI.

 

 

La ricerca

Obiettivo: dare visibilità alla complessità della cura e indagare quali bisogni e scelte delle famiglie incontrino la rete delle risposte formali a domicilio e quali siano considerati dai gestori nell’offerta di servizi e interventi. La ricerca ha quindi unito due filoni di analisi:

  • da un lato la prospettiva delle famiglie, analizzata interpellando tramite interviste e questionari i caregiver di riferimento; a loro è stato chiesto di assumere una duplice visuale: i bisogni di assistenza della persona anziana e l’impatto, diretto e indiretto, delle strategie di cura sulla loro qualità di vita e sui loro bilanci economici e familiari;
  • dall’altro lato, l’attuale posizionamento strategico dei gestori ed erogatori di servizi; tramite interviste semi strutturate è stato rilevato il loro punto di vista rispetto a bisogni percepiti, soluzioni offerte dall’ente, necessità non intercettate e possibili prospettive di innovazione e collaborazione nella rete.

 

Sono state utilizzate diverse metodologie di indagine:

  • analisi desk delle fonti istituzionali su alcune caratteristiche delle condizioni di vita degli over 65 a Milano e sulla rete dei servizi esistenti;
  • interviste semi strutturate a un campione di caregiver (10, di cui 6 femmine e 4 maschi), individuati da Fondazione Ravasi Garzanti, da CERGAS Bocconi e da alcuni degli enti gestori coinvolti;
  • questionario con tre diverse sezioni (Cost of illness, Quality of life, Discrete choice), somministrato a 107 caregiver intercettati tramite la mediazione di 11 organizzazioni no-profit coinvolte nell’assistenza ad anziani con demenza; obiettivo della prima sezione era stimare quanto spende una famiglia milanese per prendersi cura al domicilio di una persona anziana con demenza, ricomponendo fonti diverse; per stimare la qualità di vita della persona anziana è stato adottato lo strumento EQ-5D (versione proxy compilata dal caregiver), per stimare la qualità di vita del caregiver lo strumento CarerQol-7D; l’ultima sezione del questionario conteneva domande per un esperimento a scelta discreta, allo scopo di comprendere quali caratteristiche di un ipotetico servizio siano più importanti per il caregiver: tramite un software statistico e sulla base della letteratura, dell’opinione di esperti e delle interviste con i caregiver sono stati costruiti 18 pacchetti di ipotetici servizi, accoppiati per permettere al rispondente 9 scelte tra due opzioni;
  • interviste semi strutturate a un campione di enti gestori dei servizi (11 su una trentina di enti mappati).

 

Tabella 1 – Questionari per caregiver: le informazioni di base

 

La voce dei caregiver raccolta tramite i questionari

Per stimare l’utilizzo di risorse economiche sanitarie e non sanitarie sono stati presi in considerazione i costi sostenuti, nei 12 mesi precedenti alla rilevazione, direttamente dalle famiglie (spesa privata out of pocket), dal Servizio Sanitario di Regione Lombardia (spesa sanitaria pubblica), da altri enti pubblici quali Comuni e INPS (spesa sociale pubblica).

 

Grafico 1 – Costi sostenuti nei 12 mesi precedenti (media – valori in €)

 

L’analisi condotta ha permesso di quantificare per l’ultimo anno una spesa media annua totale di ≈ 14.700 € per persona, di cui le spese sanitarie rappresentano il 22% e quelle sociali il 78%; sono stati quantificati i valori medi di:

  • spese sanitarie (≈ 3.300 €), sostenute in egual misura da enti pubblici e dalle famiglie;
  • spese non sanitarie (≈ 11.400 €), trainate dal ricorso al badantato e dalla compartecipazione per i Centri Diurni Integrati, prevalentemente a carico delle famiglie (93%);
  • trasferimenti monetari a favore delle famiglie (≈ 4.700 €), che coprono solo parzialmente il carico di spesa delle famiglie (nemmeno il 40%).

 

Inoltre, il carico di caregiving comporta spesso perdite di produttività per il caregiver. Se il 36% dei rispondenti si dichiara non occupato, il 24% ha chiesto e ottenuto una riduzione dell’orario di lavoro e il 6% ha usufruito di permessi non retribuiti; l’’1% ha fatto ricorso al pensionamento anticipato. Quote significative che però non possono stupire, se consideriamo che – sempre secondo le risposte raccolte – il caregiver fornisce assistenza per una media di 5,2 giorni alla settimana e di 8,2 ore al giorno.

 

In sintesi, a Milano è stimabile un costo totale annuo per assistere gli over 65 con demenza che vivono al domicilio (circa 28.500 persone) di oltre 400.000.000 (83% costi privati, 17% costi pubblici), cui è possibile sommare circa 50.000.000 in perdite di produttività. I trasferimenti monetari complessivamente erogati a favore delle famiglie sono quantificabili in circa 130.000.000 €.

 

Tenendo conto dei dati esposti finora, non stupisce che tramite la sezione dei questionari Quality of life emerga un quadro piuttosto desolante. Per i caregiver i maggiori problemi sono la conciliazione delle attività quotidiane, lo sviluppo delle relazioni interpersonali e della socialità, la gestione delle spese finanziarie, il mantenimento della salute fisica e mentale. Il carico di lavoro pratico, l’onere emotivo e i vincoli finanziari sono linee che, in molti casi, tracciano il ritratto di persone che procedono come acrobati in equilibrio precario.

 

I rispondenti si sono espressi anche in merito alla qualità della vita degli anziani che assistono, la quale appare altrettanto ridotta per le gravi limitazioni imposte dalla patologia e dalle sue conseguenze. Coerentemente, la qualità di vita del caregiver è decisamente bassa (utility score di 63,9 ± 19,8), specialmente a causa del difficile bilanciamento tra attività quotidiane e attività di cura. Anche la qualità di vita delle persone anziane con demenza è molto bassa (utility score di 0,297 ± 0,343), in particolar modo a causa delle gravi limitazioni alla cura di sé e alle attività quotidiane. Si nota un chiaro rispecchiamento tra i dati sulla salute mentale dei caregiver e quella degli anziani con demenza, che mettono in luce la complessità della diade.

 

L’ultima sezione del questionario, come già citato, intendeva comprendere quali caratteristiche di un ipotetico servizio siano più importanti per il caregiver. Sono stati costruiti 18 pacchetti di ipotetici servizi, accoppiati per permettere al rispondente 9 scelte tra due opzioni; i caregiver erano chiamati quindi a esprimere le loro preferenze rispetto a pacchetti di servizi predefiniti, analizzando le diverse caratteristiche (attributi) e facendo così emergere le loro strategie di scelta tra servizi.

 

Tabella 2 – Stralcio dal questionario per caregiver (sezione Discrete choice)

 

In totale, le risposte dei caregiver registrate come valide per l’ultima sezione del questionario sono 96. Da quanto raccolto emerge come i caregiver preferiscano pacchetti di servizi che sono così caratterizzati:

  • un minor costo mensile;
  • il numero più alto possibile di ore di assistenza domiciliare (disponibilità a pagare 5,13 € per ogni ora aggiuntiva);
  • una tipologia di assistenza mista, sanitaria e sociale (disponibilità a pagare 290,19 €/mese per questa caratteristica);
  • la possibilità di partecipare a un gruppo di mutuo-aiuto tra caregiver con supporto professionale (disponibilità a pagare 171,34 €/mese).

 

 

La voce dei caregiver raccolta tramite le interviste

In letteratura non è insolito trovare affermazioni che descrivono i caregiver come attori invisibili (Assirelli, Pasquinelli, 2021), spaesati, soli, paragonati ad acrobati che rischiano di perdere l’equilibrio; inoltre, in riferimento all’ampia quota femminile di caregiver, è stata usata l’espressione lavoro nascosto (Age International, 2021). Sono alcuni dei modi in cui si prova a definire la complessità del ruolo del caregiver familiare.

 

Dalle interviste emerge quanto la demenza sia una patologia difficile da diagnosticare. Eppure, le tempistiche sono fondamentali: il momento della diagnosi si scopre essere particolarmente rilevante per una corretta presa in carico e per l’accesso ai servizi idonei. Dalla voce dei caregiver risulta che la diagnosi arriva in modi differenti e da specialisti diversi, quindi gli esiti e la modalità di presa in carico variano a seconda della sensibilità del professionista incontrato. Oppure arriva dopo esperienze negative con servizi che non hanno saputo o potuto dare sostegno, spingendo i familiari a cercare conferme altrove, come racconta S.P.: “In mancanza del medico di medicina generale, mi sono sempre dovuta rivolgere al pronto soccorso. Mia madre ha ricevuto una diagnosi da parte del medico del pronto soccorso. Lui ha identificato la demenza, poi confermata da un geriatra privato”.

 

Laddove il medico di medicina generale è presente, la situazione non è comunque priva di difficoltà. Racconta S.G.: “Non posso dire che il medico di base sia stato assente, ma diceva: una persona che ha 87-88 anni, lasciamola vivere. Noi volevamo trovare delle soluzioni per farla stare meglio”. V.N. riporta una situazione simile: “La dottoressa di base diceva: io non posso intervenire, non posso fare, non posso chiamare. Bisogna lasciare che vada avanti fino a quando non sarà più in grado di gestirsi, poi si interverrà”.

 

Lo spaesamento iniziale ostacola persino la comprensione di che cosa ci sarebbe bisogno. È un sentimento che si rileva con chiarezza quando i caregiver affrontano il tema dell’accesso ai servizi: dalle loro parole emerge una forte necessità di orientamento tra le possibilità disponibili, specialmente all’inizio del percorso di cura. Molti caregiver lamentano la mancanza di punti di riferimento, la difficoltà a reperire informazioni utili ad accedere ai servizi pubblici e a ricostruire un mosaico di opportunità percepite come frammentate e disorganiche o che vengono scoperte troppo tardi. Queste le parole di L.P.: “Il supporto serve molto all’inizio, quando si scopre di avere un problema in casa e non si sa come organizzarsi. Logisticamente siamo stati travolti”.

 

Nel complesso, il percorso della patologia pone i caregiver di fronte a domande di cura sempre più pressanti. Innanzitutto è necessario sorvegliare la persona malata, attività che richiede una disponibilità illimitata, come emerge dal racconto di S.S., caregiver del coniuge: “Non ho la possibilità di trovare qualcuno che mi sostituisca. Per questo, al momento sono sempre presente per assistere o controllare mio marito”. Tutti i rispondenti segnalano, inoltre, il bisogno di un sostegno nella cura della casa, nelle uscite per effettuare spese o commissioni e nel trasporto della persona anziana da e verso l’abitazione. Quest’ultimo è un tema particolarmente significativo, perché a volte l’impossibilità di trasportare il malato finisce per vanificare anche i servizi esistenti e potenzialmente utili: “Il centro diurno potrebbe essere un buon supporto, cioè quattro ore alla mattina. Però devi avere qualcuno che viene a prendere il malato, che lo porta lì e te lo riporta a casa. Tu sei al lavoro e questa soluzione non è possibile”.

 

Se la rete familiare su cui fare affidamento è allargata, il carico di cura viene condiviso; il caregiver principale ne trae beneficio in termini di sollievo dallo stress emotivo e dagli oneri pratici. Più complesse sono le situazioni in cui la diade caregiver principale/persona anziana si allontana dalla rete familiare (o viceversa). Si tratta di situazioni in cui semplicemente manca una famiglia allargata, perché i rapporti sono deteriorati oppure perché tutti i parenti vivono altrove, ma non solo. La diade può trovarsi isolata anche per un progressivo aggravamento dei sintomi della demenza, che fa ricadere l’intera responsabilità di cura su una sola persona.

 

Il ricorso al lavoro di un/una badante è una soluzione attivata per gestire i bisogni assistenziali più quotidiani. Talvolta la badante si prende cura contemporaneamente di più persone non autosufficienti (come nel caso di coniugi anziani), oppure diventa il punto di riferimento per diverse necessità della famiglia. Fra i caregiver e questi collaboratori/collaboratrici può crearsi un legame stretto e fondamentale, sia dal punto di vista della condivisione delle mansioni sia per quanto riguarda il sostegno emotivo.

 

Abbiamo osservato quanto è frequente che i caregiver debbano elaborare soluzioni lavorative diverse, tra cui la riduzione dell’orario, la richiesta di permessi non retribuiti, un pensionamento anticipato. Dalle interviste affiorano alcune esperienze positive dovute principalmente all’efficacia di soluzioni come lo smart working e gli strumenti previsti dalla legge 104/1992 e al contributo importante dato da ambienti professionali comprensivi e collaborativi.

 

Tra i principali fattori della cura a domicilio c’è il forte desiderio di assicurare la permanenza della persona malata nella propria abitazione, interpretando il desiderio dell’assistito, convinti che la familiarità degli spazi e degli oggetti sia di per sé fonte di benessere e conforto; a volte anche l’aspetto economico e il decorso della patologia influiscono sulla scelta dell’assistenza garantita a casa.

 

 

La visione degli enti gestori

Dalle interviste emerge una parziale continuità tra le dichiarazioni dei gestori e quelle dei caregiver, almeno per quanto riguarda le tempistiche della diagnosi o comunque dell’attivazione del percorso diagnostico. Gli operatori percepiscono di entrare in contatto con la diade malato/caregiver solo quando la demenza si trova a uno stadio avanzato, talmente grave da superare le possibilità del caregiver principale e della famiglia. Secondo gli enti, in altre parole, le famiglie si rivolgono a loro per rispondere alle emergenze, ponendoli di fronte a situazioni dalla gestione già molto complessa.

 

La percezione degli enti e quella dei caregiver differiscono significativamente nella lettura dei bisogni della persona malata: secondo gli enti gestori, tra i bisogni prioritari degli anziani con demenza ci sono la prevenzione, il monitoraggio, il mantenimento funzionale delle capacità e lo sviluppo di socialità e relazioni, mentre i bisogni percepiti dai caregiver appaiono più orientati alla gestione quotidiana di ostacoli tanto fisici, come le barriere architettoniche dentro e fuori casa, quanto organizzativi, a partire dal trasporto dell’individuo non autosufficiente.

 

I pareri differiscono anche per quanto riguarda i servizi dedicati ai caregiver: gli enti gestori ritengono di offrire un portafoglio di servizi più completo rispetto a quello percepito dai caregiver, che in particolare vorrebbero un punto di riferimento unico e continuativo. I gestori dichiarano di erogare corsi di formazione per i caregiver; questi percepiscono la necessità di forme di gruppi di mutuo aiuto, enfatizzando la richiesta di ascolto e guida.

 

Nel complesso, dalle interviste ai gestori emerge il desiderio di una regia della rete, di collaborazioni sinergiche tra i diversi attori coinvolti che superino l’attuale dinamica basata su rapporti informali oppure frenata da logiche di competizione. Grazie alle interviste agli enti gestori e al confronto con le istanze dei caregiver sono emersi alcuni nuclei fondamentali per gli attori coinvolti nella cura al domicilio:

  • il ritardo nell’attivazione dei servizi;
  • la necessità di un punto di riferimento esperto e la creazione di rapporti di fiducia lungo tutto il percorso della malattia;
  • l’esigenza di una chiara regia per superare logiche di competizione tra enti gestori;
  • la necessità di ripensare ai modelli di servizio esistenti, anche grazie all’innovazione tecnologica.

 

 

La qualità della vita: una realtà multidimensionale

La ricerca conferma quanto già i cittadini e i professionisti rilevano nella pratica: la famiglia è il perno intorno al quale ruota la presa in carico e la cura delle persone anziane non autosufficienti, nel caso specifico della demenza. La scelta delle cure a casa impatta in modo molto significativo sui costi e sulla qualità della vita dell’intero nucleo famigliare, con un andamento in crescendo seguendo il decorso della patologia.

 

Dalle interviste e dai questionari emerge che:

  • il dato economico e di spesa non è necessariamente il primo driver di scelta dei caregiver; anzi, in presenza di servizi ritenuti adeguati e utili, le famiglie hanno un atteggiamento positivo rispetto alla possibilità di sostenere costi maggiori, riconoscendo la necessità (ma anche la validità) di servizi a maggior intensità di ore ma anche di qualificazione professionale;  già oggi la maggior parte della spesa è a carico della famiglia, al di fuori di qualsiasi regia e coordinamento pubblico;
  • è necessario differenziare maggiormente le politiche e gli interventi pubblici rispetto a profili di famiglie e di anziano diversi, ma anche rispetto al decorso della demenza; è fondamentale riconoscere esigenze di intensità di assistenza diversificate, allontanandosi da un tipico approccio standardizzato;
  • esistono aree di bisogno, quali il trasporto verso i servizi e il sollievo per il caregiver, che non rientrano tra gli interventi sanitari e sono trascurati dalla rete degli interventi sociali.

 

La ricerca si presenta come un insieme di carotaggi ispirati da diversi approcci scientifici, che offrono indizi da analizzare e consolidare sulla base di ulteriori evidenze. Anche i dati quantitativi sono frutto di prime stime, da arricchire con un lavoro di ulteriore approfondimento e validazione. Le testimonianze raccolte aprono degli spazi di innovazione e di riorganizzazione dei servizi. Se da un lato è necessario investire maggiormente su servizi specialistici – le famiglie segnalano chiaramente la preferenza per servizi a più alta intensità e complessità – dall’altro lato è necessario riconoscere un vuoto di offerta rispetto ai servizi per caregiver e alle prime fasi di fronteggiamento della malattia.

 

Guardando ai risultati, il principale pare essere l’evidenza circa il fatto che la condizione di fragilità in età avanzata non rappresenti soltanto un concentrato di bisogni, ma determini automaticamente delle micro piattaforme esistenziali entro cui, pressoché sempre e comunque, i bisogni trovano modo di mescolarsi con risorse e opportunità. E la casa è lo spazio fisico, relazionale e simbolico dove questo insieme di limiti e potenzialità si interseca e si sviluppa lungo traiettorie sempre dinamiche.

 

È da questo nucleo, formato essenzialmente da intrecci vitali, che si diramano le diverse traiettorie esistenziali dei protagonisti; traiettorie che risultano condizionate e spesso in gran parte definite proprio dall’aggancio col nucleo a monte. La conseguenza è che lo sguardo di chi è chiamato a intervenire a supporto della persona anziana in stato di bisogno deve necessariamente, se vuole essere efficace, allargarsi sempre al microcosmo di cui essa è parte. Deve imparare a leggerlo con uno sguardo nuovo, così da saper valorizzare con interventi adeguati le componenti attive e positive che pure lo compongono. I profili emersi dalla ricerca sono quelli di vite collegate (Donati, Naldini, 2012) da relazioni che disegnano un ecosistema fatto di intrecci e sovrapposizione di ruoli e di responsabilità, scanditi diversamente nel corso della vita; lo spazio della casa diventa teatro di un dinamismo familiare che sfugge a facili etichette.

 

In questo senso il punto di domanda nel titolo della ricerca non pone un’alternativa tra il sì e il no, ma intende invitare a tener conto, nell’approcciarsi alla condizione delle persone anziane con problemi di decadimento cognitivo, della complessità e delle molteplici sfaccettature – non solo negative – che caratterizzano la loro situazione. I risultati della ricerca analizzano questi diversi profili, provando a ricondurli a una visione di sintesi che possa guidare i protagonisti a una maggiore consapevolezza e i provider di interventi e servizi a una capacità di azione più mirata ed efficace.

Note

  1. Hanno contribuito alla ricerca: Simone Manfredi, Michela Meregaglia, Elisabetta Notarnicola, Eleonora Perobelli e Andrea Rotolo per CERGAS Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e sociale dell’Università Bocconi; Elisabetta Donati, Carla Piersanti e Felice Scalvini per Fondazione Ravasi Garzanti.
  2. Elaborazione di CERGAS SDA Bocconi su Bacigalupo I. et al., A systematic review and meta-analysis on the prevalence of dementia in Europe: estimates from the highest-quality studies adopting the DSM IV diagnostic criteria, in Journal of Alzheimers’s disease, 2018;66(4):1471-1481; Sachdev P.S. et al., The prevalence of mild cognitive impairment in diverse geographical and ethnocultural regions: the COSMIC collaboration, in PLoS One, 2015;5;10(11):e0142388; Vanacore N. et al., Epidemiologia della demenza di Alzheimer in Italia, Istituto Superiore di Sanità, 2005.

Bibliografia

Age International (2021), Older women: the hidden workforce. Access to economic justice.

Assirelli G., Pasquinelli S. (2021), Gli invisibili. Essere caregiver in Lombardia, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 3.

Donati E., Naldini M. (2012), Generazioni e scambi di cura, in Naldini M., Solera C., Torrioni P.M., a cura di, Corsi di vita e generazioni, Il Mulino.

Fondazione Ravasi Garzanti, CERGAS Bocconi (2024), Meglio a casa? Implicazioni manageriali ed economiche dell’assistenza di persone anziane al domicilio.

Istituto Superiore di Sanità – Osservatorio Demenze (2024), Progetto Fondo per l’Alzheimer e le demenze. Le attività dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità (anni 2021-2023), report nazionale, Il Pensiero Scientifico Editore.

OECD Organisation for Economic Co-operation and Development (1994), Caring for frail elderly people: new directions in care, in Social Policy Studies, n. 14

Szinovacz M.E., Davey A., a cura di (2008), Caregiving contexts: cultural, familial and societal implications, Springer Publishing.

WHO World Health Organization (2017), Global action plan on the public health response to dementia 2017-2025, Geneve.

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