
Disciplina teorico-pratica sviluppatasi in Italia a partire dagli anni ’70, dapprima con intento terapeutico e con interesse all’infanzia, la psicomotricità ha poi assunto finalità di tipo educativo-preventivo, rivolgendo sguardo e azione a tutte le età della vita (Chiossone, et al., 2023). Riguardo alla terza età la psicomotricità può apportare un contributo significativo non solo con gli anziani (Chiossone, et al., 2025), ma anche con i caregiver (Castiello, et al., 2024) e con gli operatori che se ne prendono cura (Chiossone, et al., 2024). I luoghi dove sono realizzabili gli interventi psicomotori corrispondono ai differenti contesti di vita degli anziani: il territorio, nelle sue diverse espressioni di aggregazione, di impiego positivo e finalizzato del tempo, di promozione di benessere e agio in qualunque fase della vita (associazioni per la terza età, centri multifunzionali per il tempo libero, ecc.); il domicilio1; i servizi diurni o residenziali; i servizi specifici per malati di Alzheimer.
L’associazione Creamcafé di Genova: annullare le distanze fra chi ha e chi non ha decadimento cognitivo
Un’esperienza interessante è quella di laboratori psicomotori rivolti congiuntamente ad anziani cognitivamente sani e ad anziani con demenza. Si fa riferimento a quanto si realizza da molto tempo nell’ambito dell’associazione Creamcafé (Creative Mind Café) o Caffè della mente creativa; l’associazione, fondata nel 2013 e presieduta da Guido Rodriguez (già direttore di un servizio di neurofisiologia clinica e professore universitario), è sostenuta dalla Fondazione Palazzo Ducale di Genova, che ha fornito anche gli spazi in cui realizzare stabilmente le attività.

Grazie all’impegno di numerosi volontari, l’associazione organizza un punto di ascolto, informazione e sostegno per orientarsi fra iter, servizi e risorse di assistenza, oltre a molte attività (laboratori, iniziative di aggregazione, proposte culturali); il tutto è all’insegna di invecchiamento attivo, orientamento a preservare il più possibile le facoltà cognitive, contrasto a solitudine e isolamento in età anziana e allo stigma sociale che ancora avvolge la demenza. Il Creamcafé nasce dal presupposto scientifico che svolgere con costanza attività cognitive e attività motorie, in un ambiente accogliente e socializzante, contribuisce a mantenere o sviluppare la riserva cognitiva, ritardando la comparsa dei sintomi legati alle malattie cronico-degenerative cerebrali; si connota quindi come ambiente partecipativo, non escludente e sereno, al cui interno le persone con e senza disturbi cognitivi possono ritrovarsi, realizzando insieme attività di diverso genere.
Il Creamcafé è uno spazio aperto a tutti, dove le persone che intendono cercare di mantenere attivo il proprio cervello possono trovare risposte e occasioni differenziate, dalla conversazione informale ai laboratori, agli incontri più strutturati e specifici. È anche il luogo dove le persone che soffrono di disturbi cognitivi e le persone che li assistono possono trovare accoglienza, ottenere informazioni su come fronteggiare il decadimento cognitivo, confrontarsi con altri che vivono analoghe condizioni, socializzare e partecipare a iniziative di varia natura e durata, con effetti benefici sulla loro qualità di vita.
Il Creamcafé si articola in tre grandi filoni: il primo fa riferimento ad attività o laboratori dedicati, rivolti a caregiver e finalizzati ad apprendere contenuti specifici sulla demenza e strategie di comportamento, oltre che a comprendere il proprio vissuto rispetto alla malattia; il secondo è rivolto a tutti, si estrinseca nei laboratori e si prefigge di aumentare la riserva cognitiva, proponendo attività che chiamano in causa e richiedono un contributo, come e quanto possibile, di ogni singolo frequentatore e che cercano di favorire il richiamo di memorie passate e la formazione di nuove; il terzo apre un’opportunità di incontro fra i frequentatori e alcune persone che si esprimono artisticamente e professionalmente in città (conferenze, incontri tematici, presentazioni, proiezioni, dibattiti).
Al Café sono stati proposti, a cadenza settimanale o quindicinale, discussioni di gruppo sulla demenza, “chiacchierate sul cervello”, laboratori di attenzione percettiva ed emozionale, test esplorativi sulla memoria, laboratori di scrittura autobiografica, corsi di lingua (inglese, francese, spagnolo), attività fisiche di vario tipo (ginnastica dolce, metodo Feldenkrais, Qigong), laboratori espressivi e/o di stimolo alla memoria (teatro, musica, canto, forma e colore, giochi a carte o di società, giochi cognitivi), laboratorio di psicomotricità. Il laboratorio di psicomotricità è frequentato da persone anziane in buona salute e da persone che vivono con la demenza.
Il nome dell’associazione, la decisione di creare un luogo di incontro fra sani e malati sono legati alla volontà di eliminare qualsiasi barriera tra chi vive con la demenza e chi si ritiene normale. Se l’isolamento e l’impoverimento della socializzazione sono fattori aggravanti il processo di degenerazione cerebrale e mentale, con questa iniziativa si intende costruire spazi di socializzazione, di partecipazione affettiva e cognitiva, luoghi dove possa essere facilmente riconoscibile una comunità di umani uguali, nonostante le ovvie diversità tra anziano in salute e anziano con disturbo cognitivo: obiettivo fondante era e rimane quello di costruire un ambiente dove si possa realizzare un incontro tra differenti (Cartacci, 2021).
In questo contesto, il laboratorio di psicomotricità si ricollega ai presupposti e alle scelte del Creamcafé:
- stretto rapporto fra corpo e mente;
- orientamento a preservare il più possibile le facoltà cognitive;
- utilità del movimento anche per le funzioni mentali;
- non separazione fra anziani con e anziani senza decadimento cognitivo;
- attività piacevoli in un ambiente sereno e non giudicante;
- uscita dalla passività e dall’isolamento;
- benessere del singolo e benessere del gruppo.
Analogamente ad altre proposte psicomotorie, il laboratorio si caratterizza come esperienza che non richiede prestazioni, sforzi o esercizi, ma prospetta situazioni che hanno come obiettivo facilitare il movimento e appropriarsi o riappropriarsi della consapevolezza e della fiducia nel proprio corpo, nel rapporto con l’azione motoria, lo spazio e il tempo, attraverso l’uso di diversi oggetti e in una dimensione relazionale di gruppo.

Potenzialità e limiti della pratica psicomotoria con persone con malattia di Parkinson
L’Associazione Parkinson Insubria, composta da malati e familiari e operante in provincia di Varese, ha attivato nel 2017 un’esperienza specifica di pratica psicomotoria con persone adulte e anziane con malattia di Parkinson, realizzata in tre località diverse; a causa della pandemia l’esperienza ha affrontato, negli anni 2020-2021, la sfida inconsueta della conduzione a distanza, per poi riprendere in presenza, sia indoor che outdoor (Anichini, 2021).
Il laboratorio psicomotorio era inserito in un più ampio progetto ad approccio multidisciplinare, formulato su indicazione dei neurologi di riferimento e mirato a proporre agli associati un progetto strutturato e articolato su diverse terapie non farmacologiche, fondamentali per favorire una migliore aderenza e quindi efficacia delle terapie farmacologiche e per promuovere il benessere delle persone malate. Il progetto è stato elaborato da una psicologa, una psicomotricista, una massofisioterapista esperta in attività fisica adattata, un’insegnante del metodo Feldenkrais, un’arteterapeuta. Per gli associati si è trattato di una proposta nuova, che ha affiancato le tradizionali attività riabilitative di carattere squisitamente motorio e le altre proposte di carattere educativo e terapeutico (stimolazione cognitiva, terapia occupazionale, logopedia, gruppi di ascolto, tangoterapia, laboratorio teatrale).
Nella bella stagione l’Associazione Parkinson Insubria (AsPI) propone ogni anno ai propri associati di trasferire le attività di gruppo al parco: da giugno a ottobre, condizioni meteorologiche permettendo, le sedute di psicomotricità si svolgono in luoghi all’aperto diversi, con risorse e limiti da considerare nella progettazione degli incontri. Gli associati AsPI amano lavorare al parco: le persone si dimostrano più disponibili a mettersi in gioco, forse stimolate dal “respiro” più aperto che produce l’attività all’esterno; sono più propense alla relazione con l’altro e più propositive. Il corpo appare come rinvigorito dagli elementi della natura che si è attenti ad ascoltare e a utilizzare nella pratica: il vento, il sole, ma anche la pioggerellina, i legnetti, i rami, le foglie, i fili d’erba, i ricci delle castagne. In natura ogni cosa diventa parte della pratica e l’ascolto di se stessi si amplifica, in una dimensione meditativa corale.

Nelle attività indoor, che si svolgono nei mesi più freddi, si alternano momenti più intensi ad altri più calmi. Un’attività proposta in apertura, funzionale a far concentrare l’attenzione di tutti sul laboratorio e su di sé, è focalizzata sul respiro: a occhi chiusi, mani sul ventre, si invitano i partecipanti a portare l’attenzione sul fluire dell’aria che entra, riempie ed esce; a immaginare il riempimento, visualizzando l’espandersi del respiro all’interno del proprio corpo. Per prendere contatto con il proprio corpo si propongono attività alternative (quali ad esempio camminare nello spazio disponibile o spostare il peso da una gamba all’altra rimanendo seduti), differenziate in base alle difficoltà dei partecipanti, all’eventuale stanchezza dovuta a una notte insonne, all’attenzione a non far assumere posture a rischio di sbilanciamento. Tutti i partecipanti sono inclusi nella proposta, anche coloro che non possono deambulare o lo fanno con fatica. I volontari o i caregiver sorreggono le persone con maggiori difficoltà, si fanno molte soste e spesso si ritorna seduti per sperimentare tutti insieme.
“Tenterò di dire ciò che la mia anima vive (…). Per me la malattia non si può accettare. Perché è una non-salute, il dolore è un non-essere, l’angoscia una non-gioia e io, invece, sento che sono fatto per la felicità”; con queste parole, tramite uno scritto, un partecipante alla pratica psicomotoria di 69 anni, con diagnosi di Parkinson da 7 anni, ha espresso le proprie emozioni e considerazioni riguardo al vissuto di malattia, che non era riuscito a verbalizzare al termine di un incontro. “Quello è il Monte Resegone: è lì che ho scoperto di avere il Parkinson. Io, che sono sempre stato un camminatore, mi bloccai, le mie gambe non mi obbedivano. Dissi agli altri di proseguire, io ero fermo”. In questo modo, all’inizio di un incontro all’aperto riuniti in cerchio, un malato di 71 anni ha condiviso con gli altri partecipanti il suo esordio di malattia. Nei momenti iniziali e finali degli incontri di psicomotricità accadono spesso condivisioni di questo genere: ciò che le rende “digeribili” è proprio “masticarle” tutti insieme.
Durante l’emergenza sanitaria, determinata dalla pandemia Covid-19, è stata sperimentata una modalità on line, intrisa del senso del limite ma anche di stimoli per ricercare nuove modalità. L’incontro on line veniva avviato tramite la lettura di un brano di un libro, breve e semplice, che risultasse di ispirazione per il movimento spontaneo, sollecitato poi dalle consegne verbali: i temi erano diversi (lentezza e velocità, pesantezza e leggerezza, continuità e cambiamento), ma tutti utili a introdurre momenti più motori, che consentivano di lasciarsi andare alla musica e di sperimentare alcuni oggetti (ad esempio carta di giornale, stoffe, corde, mollette per il bucato, penne e matite), in un alternarsi di ritmi che ispirassero diverse suggestioni.
La situazione inconsueta del laboratorio a distanza, in spazi domestici non sempre ampi e adeguati al movimento, ha spinto a proporre modalità particolari: ad esempio, in un incontro è stato chiesto ai partecipanti di immaginarsi di avere una palla, all’inizio piccola e via via sempre più grande, fino a giungere, a fine seduta, contenuti da un’enorme sfera. La consegna era di uscire dalla sfera: le persone hanno espresso modalità molto diverse, quali rompere a pugni questo contenitore immaginario, tagliarlo a pezzi, picchiettarlo, divorarlo, ma anche rimanere all’interno, fermarsi, stare. La verbalizzazione è stata molto intensa; la maggior parte dei partecipanti ha riportato di essere rimasta sorpresa di riuscire a immaginare un oggetto e di poterci giocare.
In sintesi, quello che lo psicomotricista osserva lavorando con un gruppo di malati di Parkinson è il moto continuo di corpi in cui il movimento non può essere inibito volontariamente e, al contempo, nemmeno volontariamente attivato, in alcune circostanze. Si muove la fatica, si vede la malattia, ma anche la voglia di metterla da parte, almeno per qualche ora. Il lavoro corporeo psicomotorio restituisce ai partecipanti l’immagine di un corpo ritrovato, non più solo malato, ma vitale e desideroso di nuove esperienze.
Una lunga esperienza con anziani in salute realizzata in RSA
Presso la palestra della casa di riposo Casa mia di Forlì si svolge, da circa vent’anni, un’esperienza psicomotoria; tutto ha avuto origine dalla realizzazione del seminario teorico-pratico “L’importanza della psicomotricità nell’anziano”, tenuto da Jean Le Boulch (medico francese, fondatore della psicocinetica). Grazie alla sensibilità di istituzioni del territorio, nel 1996 è stato attivato un progetto integrato, che ha coinvolto vari soggetti locali (Assessorato al Welfare del Comune, circoscrizione di quartiere, Azienda USL, casa di riposo) e nel tempo ha visto crescere progressivamente la partecipazione (Conte, 2021).

Pensare a un intervento psicomotorio per anziani in salute significa da una parte operare per favorire l’equilibrio psichico, inteso soprattutto come valorizzazione del sé attraverso l’espressione verbale e motoria delle potenzialità, abilità, capacità relazionali, contrastando i sentimenti di inutilità, marginalità, solitudine e mancanza di futuro; dall’altra operare per favorire il benessere fisiologico, mantenendo efficienti tutte le funzioni vitali capaci di tenere aperti i canali dell’emotività, dell’intenzionalità, del desiderio e del senso della vita. Questi due obiettivi vanno inquadrati in una visione dell’essere umano inteso come persona nella sua globalità, tanto da dover essere perseguiti in modo costantemente integrato e interconnesso.
I corsi di psicomotricità si propongono di favorire una buona capacità di movimento, un corpo e una mente più elastici, maggiore autosufficienza, occasioni di incontro, apprendimento di pratiche semplici che aiutino a tenere lontano gli acciacchi; la durata è di nove mesi, la frequenza è bisettimanale. Per aumentare il livello di consapevolezza di sé, a cadenza mensile sono state proposte, al di fuori del corso psicomotorio, lezioni-conferenza teorico-pratiche, a tema, per conoscere meglio il funzionamento dell’essere umano nelle sue diverse parti: sono stati affrontati temi quali la respirazione, il tono muscolare, l’articolazione di spalla, ginocchio e bacino. Queste lezioni-conferenza hanno riscosso un notevole successo, dimostrato dal livello di partecipazione, in costante crescita.
L’interconnessione tra la parte pratica e la parte teorica ha avuto ricadute interessanti anche durante i successivi incontri di psicomotricità. Nei partecipanti è aumentato il livello di consapevolezza del proprio schema corporeo, che si è reso manifesto soprattutto durante gli esercizi di propriocezione e di ascolto di sé, ma anche durante proposte centrate sul dialogo tonico-emozionale con l’altro: i movimenti sono risultati più fluidi e armoniosi e i gesti simbolici volti alla comunicazione interpersonale hanno acquistato spontaneità e immediatezza, come se il timore di sbagliare o di farsi male fosse cancellato, a fronte di una migliorata conoscenza del funzionamento del proprio corpo.
I commenti espressi nella fase di verbalizzazione dei partecipanti hanno chiaramente dimostrato l’impatto positivo che questa iniziativa ha creato; fra i tanti, la consapevolezza di ritagliarsi uno spazio-tempo per prendersi cura di sé; il senso di vivere un momento di stacco, di liberazione da fastidi e preoccupazioni, di ricarica energetica; la motivazione ad applicare con continuità alcuni suggerimenti pratici durante lo svolgimento delle routine quotidiane (ad esempio sollevare le borse della spesa o posizionare le stoviglie nello scolapiatti), per salvaguardare il proprio stato di salute psicofisico in relazione ad acciacchi e fastidi già presenti.
Avvenendo nella palestra collocata all’interno della casa di riposo, lo svolgimento dei corsi di psicomotricità ha dato la possibilità di interconnettere, saltuariamente, l’attività psicomotoria degli anziani in salute con gli ospiti presenti in residenza; le occasioni di interscambio sono state cadenzate per lo più da ricorrenze (Natale, Carnevale, festa della donna, Pasqua, ecc.). Questa esperienza ha avuto una ricaduta molto positiva per i partecipanti di entrambi i gruppi, che hanno dimostrato entusiasmo e motivazione.
Cogliendo lo spirito di fondo della psicomotricità, che mette al centro la persona in una visione integrata con l’ambiente, i momenti di interscambio fra i due gruppi hanno creato, per gli anziani in salute, occasioni per mettere in gioco la propria corporeità come “specchio” per facilitare l’attivazione della motricità degli ospiti in residenza. Il risultato è stato quello di vivere sentimenti legati al sentirsi utili, capaci ancora di sostenere una relazione di aiuto, aumentando l’autostima e la fiducia in sé e contenendo, quindi, quei negativi stati d’animo legati invece ai sentimenti di sconforto e di solitudine. Per gli anziani residenti, obiettivo centrale è stato la modulazione della funzione energetico-affettiva, per elevare il livello di veglia e di attenzione attraverso l’aumento del tono muscolare; nel complesso si è osservato che la motricità degli anziani residenti è risultata più attiva e ampia e la gestualità si è arricchita di espressività, favorendo una maggiore voglia di comunicare, di mettersi in gioco per stare in relazione.
Tornando a un piano più generale, con la bella stagione i gruppi proseguono l’attività psicomotoria nelle aree verdi concesse dal Comune di Forlì, accogliendo gli stimoli che il contatto con la natura riserva: aumentano le percezioni esterocettive, e i sensi, così fortemente sollecitati, aiutano la persona a integrare globalmente la percezione di sé in relazione all’ambiente “natura” e agli altri partecipanti al gruppo. Le proposte quindi, oltre a favorire lo scambio con l’altro, consentono l’ascolto di sé attraverso un lavoro mirato sul controllo del respiro integrato all’attività posturale, per favorire il rilassamento e un migliorato benessere psicofisico. L’ambiente naturale fornisce un setting particolare, in cui le attività psicomotorie possono trovare oggetti e modalità inconsuete (quali toccare la corteccia di un albero, camminare su un tappeto erboso, marciare a ritmo seguendo il frinire dei grilli, odorare il profumo dei fiori); essere all’esterno implica anche essere esposti a maggiore visibilità, e questo può indurre a volte a provare sentimenti di inibizione, affrontati solitamente tramite una maggiore coesione del gruppo.
Durante l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia è stata proposta una specifica attività on line, due volte la settimana: questa modalità d’incontro ha consentito al corpo di mantenersi vivo. La proposta psicomotoria ha previsto l’esecuzione di semplici movimenti che, nella loro realizzazione, hanno utilizzato l’ambiente domestico trasformandolo in una provvisoria palestra: sedie, tavoli e armadi sono stati usati come punti d’appoggio; oggetti domestici (manici di scopa, cuscini del divano, foulard) sono diventati supporti per diversificare le consegne e per sostenere la motivazione “al fare insieme”, anche se a distanza e attraverso lo schermo del computer. Tutto questo in situazione dinamica, sfruttando lo spazio disponibile nella stanza più idonea dell’abitazione, e in situazione statica, usando la posizione seduta e la posizione eretta. I partecipanti hanno espresso complessivamente un giudizio positivo in merito all’esperienza vissuta, sia come opportunità per mantenere vivi i contatti relazionali con l’esterno, sia come nuova modalità di approccio che ha disvelato la capacità di adeguarsi all’uso delle nuove tecnologie e una mente aperta verso l’apprendimento di nuove conoscenze.
In sintesi, nell’arco di circa vent’anni di attività lo spirito della psicomotricità si è inserito nelle vite di ognuno, divenendo non solo una proposta legata all’espressione del movimento della persona, ma anche uno stile di vita, un modo di essere, di sentirsi, di percepirsi e di riconoscersi, in una fase dell’esistenza in cui è ancora possibile mettere a fuoco le proprie risorse e potenzialità. Riconoscendole e sostenendole possiamo testimoniare – a chi ci sta intorno e a noi stessi – che, anche se il corpo presenta segni legati al tempo che passa, l’individuo può comunque manifestare la propria personalità attraverso l’espressività del corpo in movimento. Quest’ultima riflessione è ben declinata in quanto descritto; i contesti menzionati (la palestra, il parco e online) sottolineano come le risorse positive presenti in ciascuno, stimolate in un contesto adeguato e con proposte motivanti, spingono la persona a raggiungere obiettivi vitali importanti quali sentirsi sostenuta nella sua globalità a partire dall’azione motoria, mantenere alta la motivazione al fare, rafforzare l’intenzionalità nel proprio operare.
Infine, una sottolineatura riguardo all’apparente paradosso di una proposta psicomotoria rivolta ad anziani in salute realizzata all’interno di una RSA. Laddove la RSA può divenire punto di riferimento per la popolazione anziana locale e valorizzare i legami con il territorio di pertinenza e con la comunità che lo abita, gli interventi di psicomotricità realizzati al suo interno, rivolti ad anziani in condizioni di salute e autosufficienza buone o discrete, possono contribuire a ridurre lo stigma verso i contesti di cura degli anziani più compromessi e a stemperare i confini, spesso troppo netti, fra luoghi di vita e luoghi di cura, coniugando gli interventi concreti di cure sanitarie e di assistenza ai più fragili con l’attenzione, per tutti, agli aspetti psicosociali e relazionali.
Note conclusive
Le esperienze qui presentate, realizzate in luoghi molto differenti, con anziani in diverse condizioni di salute e di autosufficienza, mostrano che la psicomotricità può aiutare a raggiungere e a mantenere un’armoniosa integrità psicofisica, a preservare l’identità personale e le proprie potenzialità. Lavorando sulle competenze sensomotorie, emotive, relazionali, espressive e cognitive dell’anziano e sulle funzioni indispensabili all’equilibrio psicofisico (capacità attentiva, propriocettività, controllo tonico-posturale e segmentario, equilibrio statico e dinamico, percezione dello spazio), la psicomotricità promuove il benessere e una condizione armonica di equilibrio psicofisico dell’anziano integrato nel suo ambiente, favorendone l’adattamento necessario alla differente fase di vita e contribuendo a mantenere quell’organizzazione necessaria per potersi autodeterminare efficacemente nel proprio contesto di vita (Spagnoli, 2021).
Le attività psicomotorie possono far sperimentare esperienze nuove, sconosciute e interessanti; far fare esperienza del proprio corpo, pur con i suoi limiti e acciacchi, in termini positivi e piacevoli; far vivere il presente con piacere e gusto; far esprimere ancora creatività e mettere in gioco la propria dimensione emotivo-affettiva, che rappresenta a ogni età il sale della vita e acquisisce un peso particolare quando la parola e la cognitività sono compromesse e gli stimoli devono tornare a recuperare forme originarie, legate ai sensi, alla pelle, al contatto fisico, alle coccole. Si possono così vivere insieme, in una dimensione di gruppo così importante e supportiva in età anziana, momenti di gioco, scoperta, leggerezza, spensieratezza, relazione, forza vitale, gratificazione, tutte espressioni di vita. Per rimettere in moto energie vitali assopite e aiutare la vita a vivere, a qualunque età e condizione, dando più vita agli anni e non solo più anni alla vita.
Note
- A tale proposito è interessante il fatto che la normativa che regolamenta la RSA Aperta – una misura innovativa introdotta sperimentalmente in Lombardia con la DGR 856/2013 e poi normata dalla DGR 7769/2018 – prevede l’intervento psicomotorio, insieme a interventi educativi, animativi, di arteterapia, danzaterapia e musicoterapia, per conservare il più a lungo possibile le capacità personali degli anziani non autosufficienti. L’intervento psicomotorio è realizzabile individualmente o in piccolo gruppo, a domicilio o all’interno della RSA che eroga tale misura.
Bibliografia
Anichini S. (2021), Psicomotricità e malattia di Parkinson. Risorse e limiti dell’esperienza online, in La psicomotricità nelle diverse età della vita, n. 3.
Cartacci F., a cura di (2021), Intervista. Parliamo di anzianità con il professor Guido Rodriguez, in La psicomotricità nelle diverse età della vita, n. 3.
Castiello D., Longoni B., Stoico K. (2024), Psicomotricità e caregiver: un’esperienza pluriennale all’Alzheimer Café Milano della Fondazione Manuli per l’Alzheimer, in I luoghi della cura, n. 2.
Chiossone A.M., Castiello D., Longoni B. (2023), L’evoluzione della psicomotricità dall’infanzia alle diverse età della vita, in I luoghi della cura, n. 4.
Chiossone A.M., Castiello D., Longoni B., Conte R. (2025), La psicomotricità con anziani sani e anziani fragili: senso e modalità, in I luoghi della cura, n. 1.
Chiossone A.M., Castiello D., Longoni B., Persico M.T. (2024), La psicomotricità con e per gli OSS: prendersi cura dell’altro, prendersi cura di sé, in I luoghi della cura, n. 5.
Conte R. (2021), La psicomotricità e l’anziano in salute, in La psicomotricità nelle diverse età della vita, n. 3.
Spagnoli M. (2021), Il contributo della psicomotricità nelle residenze sanitarie per anziani, in La psicomotricità nelle diverse età della vita, n. 3.