1 Settembre 2005 | Operatori

Stranieri e anziani: un profilo sintetico della popolazione che si prende cura degli anziani in Lombardia

Stranieri e anziani: un profilo sintetico della popolazione che si prende cura degli anziani in Lombardia

L‘assistenza domiciliare e l’aiuto domestico agli anziani da parte dei privati sta assumendo una dimensione sempre più rilevante e sono soprattutto gli stranieri ad alimentare l’offerta di questi servizi. Le ragioni di questo aumento sono da ricercare principalmente in alcuni caratteri specifici della società italiana e, fra questi ha assunto un ruolo di rilievo l’invecchiamento della popolazione, inteso sia in senso biologico-individuale, sia in quello demografico-collettivo, quest’ultimo determinato perlopiù dalla drastica riduzione delle nascite. La speranza di vita alla nascita in Italia è raddoppiata fra l’inizio del secolo scorso ed oggi raggiungendo i 77 anni per gli uomini e 83 per le donne.

 

Il rilevante spostamento dell’età alla morte è accompagnata da un aumento dell’incidenza della disabilità determinata soprattutto dalle malattie croniche e degenerative tipiche delle età anziane. Basti osservare che nel 1999 una sessantacinquenne poteva sperare ancora in 20 anni di vita, 4 in più dei coetanei, ma gli anni privi di disabilità erano 15 contro i quasi 14 degli uomini. Fra il 1990 e il 2000 si è registrato un guadagno di un anno e mezzo di vita a 65 anni per uomini e donne, ma considerando la vita in buona salute tale guadagno si riduce a un anno per le donne e a due per gli uomini (Blangiardo, 2002).

 

Questo processo ha determinato un’elevata domanda di cura cui il sistema dei servizi provvede marginalmente e che non è più assicurato – nel contesto familiare – dallo scambio generazionale per la scarsa conciliabilità di ruoli lavorativi e di cura tradizionalmente ad appannaggio femminile. Tutto ciò peraltro è avvenuto mentre si stavano realizzando in altri paesi condizioni politiche e sociali che hanno favorito l’immigrazione straniera. Il crollo del regime sovietico, e più in generale la polarizzazione della ricchezza a favore del mondo economicamente sviluppato, ha favorito l’emigrazione di un crescente numero di individui attratti dalle opportunità di lavoro e dalla convenienza derivante dai differenziali salariali. Fra queste popolazioni si annoverano anche quelle “specializzate” nella cura degli italiani anziani, capaci cioè di soddisfare una domanda crescente di assistenza dentro le mura domestiche e quindi di risolvere la tensione generata dalla mancanza di soluzioni accettabili oltre il ricovero.

 

Nello specifico caso italiano queste mansioni sono svolte principalmente dalle donne Est europee dalle latino americane e dalle asiatiche. Sfruttando l’indagine 2004 dell’Osservatorio regionale sulla presenza straniera e l’archivio dei dati individuali dei regolarizzati in Lombardia dalla legge Bossi-Fini è possibile fornire qualche informazione sui profili insediativi in Lombardia della popolazione che si prende cura degli anziani oltre ad alcune caratteristiche delle relazioni fra questa e la popolazione lombarda anziana1.

 

1. La popolazione che si prende cura

L’assistenza domiciliare è al secondo posto nella graduatoria dei lavori svolti dalla popolazione straniera presente in Lombardia (6,6%) preceduta solo dal lavoro operaio non specializzato (12,6%)2.  Tale attività è esercitata soprattutto da stranieri provenienti dall’Europa dell’Est e in misura minore dall’Asia e dall’America Latina. Questo collettivo ha un’età media relativamente elevata (Tabella 1) se si considera che l’insieme degli immigrati presenti non supera i 31-32 anni. Esso, inoltre è composto soprattutto da donne (95%) inserite in una rete comunitaria di aiuto circoscritto soprattutto all’ambito lavorativo. Il 27% di questi soggetti appartiene a famiglie spezzate da divorzio o da separazione e l’80% ha avuto esperienze di maternità o paternità, ma il modello insediativo prevalente non prevede il ricongiungimento dei figli in emigrazione anche per l’incompatibilità di questo con il tipo di lavoro esercitato.

 

Le motivazioni a emigrare di questo gruppo sono essenzialmente da ricondurre ad un investimento che si realizza al paese di origine: l’acquisto o l’ampliamento della casa, il matrimonio dei figli, il sostegno economico agli studi e quindi hanno progetti migratori che non prevedono il radicamento sul territorio lombardo. La temporaneità della loro presenza e la missione che si prefiggono – ottenere il massimo vantaggio economico nel minor tempo possibile – le rende i soggetti ideali per la cura degli anziani non autosufficienti. Esse non sostengono spese per il vitto e l’alloggio massimizzando il guadagno. Per contro vivono in condizioni di disagio sia per la scarsa possibilità di avere relazioni con i connazionali e per il contatto quasi esclusivo con la persona che curano, generalmente anziana e malata. Esse, inoltre per le stesse ragioni si adattano ad esercitare questo lavoro pur avendo titoli di studio elevati – la proporzione di laureate è del 16% – cosicché il tasso di disoccupazione fra questo collettivo è solo del 6,7%, la metà di quello medio straniero regionale.

 

L’accesso al mondo del lavoro è favorito dalle conoscenze e ciò si spiega anche con il fatto che almeno fino alla sanatoria Bossi – Fini una quota consistente di queste donne era irregolarmente presente e quindi impossibilitata ad accedere al lavoro attraverso canali formali. Al proposito si osserva che il 44% di queste donne ha utilizzato sanatoria cosicché il permesso di soggiorno è un titolo attualmente in possesso dell’80% di queste3. L’appartenenza al gruppo irregolare oltre a condizionare i legami con il proprio paese – è impossibile tornare a casa – modifica anche le credenziali lavorative. Ad esempio, le donne di origine polacca usano la regolarità della presenza come credenziale competitiva rispetto ad altre nazionalità, prime fra tutte quella ucraina e moldava4.

 

A completamento del profilo di questa popolazione va sottolineato il fatto che per molte donne l’Italia è il primo paese di emigrazione per lavoro. Solo l’8,7% infatti, è stato per almeno sei mesi in un altro paese e quando questo è successo le destinazioni sono state europee per le donne est europee fra le est europee (Austria, Germania, Russia) Medio orientali per le poche filippine, spagnole e portoghesi per le latino americane.

Il profilo della popolazione che si prende cura degli anziani
Tabella 1 – Il profilo della popolazione che si prende cura degli anziani

 

3. I legami con la popolazione accudita

Il sostegno agli anziani può essere distinto nella cura della persona e della casa, due tipologie che si differenziano per competenza e tempo richiesto, ma difficilmente separabili perché la prima spesso implica anche la seconda, tuttavia, l’archivio dei dati della sanatoria compie questa distinzione5.

 

Un primo carattere rilevante dei legami fra domanda e offerta di servizi si osserva nella correlazione che esiste tra l’età del datore di lavoro e il numero di assistenti alla persona e i domestici, con i primi che si concentrano nell’età 80-90 anni (44%), mentre i secondi sono più equamente distribuiti in tutte le età del datore di lavoro (tabella 2). La più debole correlazione fra età e lavoro domestico si riconferma guardando all’indice di specializzazione assistenziale (ISA) che indica la prevalenza del lavoro domestico solo nelle prime due classi di età, tale correlazione si inverte invece nelle classi di età più avanzate, in particolare nella classe degli ultranovantacinquenni dove si ha un rapporto ISA pari a 176. (tabella 2). Come si può ben comprendere questo risultato è determinato dal fatto che con il raggiungimento delle età più anziane insorgono difficoltà che rendono auspicabile un aiuto globale,non circoscritto alle cure domestiche.

 

Le donne assistite gravate da maggiore disabilità, sono più numerose degli uomini soprattutto nelle fasce di popolazione più anziane e quindi per loro il ricorso alle cure è più intenso. Non è escluso tuttavia che la minore eterogeneità fra cura e assistenza domestica rivolta agli uomini sia anche il frutto del fatto che essi frequentemente sono accuditi dalle mogli più longeve e che, laddove in coppia, siano i firmatari del contratto di lavoro (tabella 3).

Tabella 2 – Assistenza e aiuto domestico per età del datore di lavoro

L’indice di specializzazione assistenziale per genere mostra lo stesso andamento crescente a favore dell’assistenza alla persona rispetto all’aiuto domestico, ma si accentua in relazione all’età e al sesso femminile (tabella 3).

Tabella 3 – Assistenza e aiuto domestico per età e genere del datore di lavoro

Un altro aspetto interessante si rileva guardando le singole nazionalità di provenienza delle lavoratrici straniere. Considerando solo le provenienze principali si osservano età molto differenziate: sono più giovani le donne africane ed asiatiche rispetto alle moldave ed ucraine (tabella 4). La maggior parte di queste ultime sono occupate nell’assistenza alla persona, le americane sono equamente distribuite tra la cura della persona e e l’aiuto domestico mentre le asiatiche e le africane sono prevalentemente dedite all’aiuto domestico (tabella 4).

 

La prevalenza di uomini tra i lavoratori stranieri addetti all’assistenza e aiuto domestico è mediamente pari al 14%, con una maggiore presenza di uomini tra coloro che provengono dall’Asia (86%) e che sono principalmente dedicati all’aiuto domestico, mentre solo il 5% di uomini nella coorte proveniente dall’Europa maggiormente impiegate nell’assistenza diretta alla persona.

Tabella 4 – Settore lavorativo per cittadinanza del lavoratore con datore di lavoro anziano

La specializzazione di genere all’interno del collettivo che si offre per questi lavori sembra essere accompagnata anche da una specializzazione di genere fra i datori di lavoro (tabella 5). L’incrocio di questo carattere, infatti sembrerebbe indicare che gli uomini si fanno curare prevalentemente dalle donne, ma non si sottraggono alla cura da parte degli uomini. Le donne italiane, invece, sembrano opporsi all’assistenza prestata dagli uomini stranieri (solo il 5.7% delle donne si fa assistere da lavoratori di sesso maschile) e ciò è dovuto probabilmente al fatto che le mansioni di cura prevedono anche azioni che le donne non gradiscono siano fatte dagli uomini come ad esempio la cura del corpo. A conferma della sensibilità di questo carattere basta valutare che per l’aiuto domestico la proporzione di uomini triplica (13,1%) rispetto all’assistenza (5,7%) mentre fra gli uomini aumenta solo di circa un terzo (20,2% per aiuto domestico contro il 14,1% per assistenza).

Tabella 5 – Genere dei lavoratori e dei datori di lavoro nel sostegno alla famiglia (%)

In definitiva, il profilo emergente dall’archivio delle regolarizzazioni e dall’indagine lombarda conferma, e allo stesso tempo rivela, alcuni caratteri delle popolazioni che appartengono a questo mondo poco conosciuto perché sommerso e isolato nelle case. In particolare si confermano alcune specificità di chi fa assistenza, ma anche in senso alle relazioni che intercorrono fra “datori di lavoro” anomali e lavoratrici e lavoratori che soddisfano una domanda intensa di cura mentre perseguono silenziosamente, ma in modo determinato, i loro progetti migratori.

Note

  1. L’indagine campionaria è svolta nell’ambito dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità promosso dalla Regione Lombardia e dalla Fondazione Ismu. Fin dal 2001 essa è condotta annualmente su un campione di 8000 stranieri ultraquattordicenni e provenienti dai paesi poveri ed è rappresentativa a livello regionale e provinciale. La metodologia di campionamento e gli esiti della quarta indagine sono pubblicati in un volume a cura di G. Blangiardo, 2005. L’archivio dei regolarizzati, invece, proviene dal Ministero del Lavoro e le informazioni ivi contenute sono individuali, anonime e riferite solo agli stranieri che hanno inoltrato domanda di regolarizzazione per lavoro di assistenza o aiuto domestico. Confrontati dai dati aggregati periodicamente pubblicati da diverse Agenzie e relativi agli stranieri già in regola è plausibile supporre che non vi siano rilevanti differenze nelle caratteristiche strutturali fra questo sub-universo e quello totale ben più numeroso. L’archivio offre anche una serie di informazioni relative al contratto di lavoro che tuttavia non sono utilizzate perchè soggette a dichiarazioni non realmente verificabili come i dati anagrafici e quindi scarsamente affidabili non solo per la generalizzazione persino fra gli stessi regolarizzati.
  2. D’altronde il 47% delle domande di regolarizzazione – pari a 329.604 pratiche – riguardavano lavoratrici e lavoratori nel sostegno familiare
  3. Va detto che i dati del 2004 segnalano una ripresa consistente dell’irregolarità che fra le nazionalità più coinvolte nella cura degli anziani nel 2004 è cresciuta raggiungendo valori fra il 20-27% contro il 12-17% dell’anno precedente
  4. Le donne di origine polacca godono oggi del privilegio entrare nel nostro paese senza visto, ma anche in passato esse erano perlopiù regolari organizzando turn-over con altre connazionali
  5. Questo non era possibile con i dati dell’Osservatorio che indicano il tipo di lavoro, ma non per chi è svolto. Un ulteriore elemento di cautela è costituito dal fatto non è quantificabile la numerosità di datori di lavoro non riferibili, nei casi più gravi, all’assistito

Bibliografia

Blangiardo G. Rapporto biennale al Parlamento sulla condizione dell’anziano, 2000-2001

Blangiardo G., 2002. Sulle determinanti delle differenze fra uomini e donne si veda A. Nobile, 2003

Blangiardo G. (a cura di) La presenza straniera in Lombardia. La quarta indagine regionale , Regione Lombardia – Fondazione Ismu, 2005. Il volume è reperibile anche sul sito della Fondazione Ismu (www.ismu.org)

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Zucchetti E.(a cura di) La regolarizzazione degli stranieri. Nuovi attori del mercato del lavoro italiano, F. Angeli, Milano, 2004

 

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