1 Giugno 2012 | Professioni

Infermieri, anziani e tecnologia: un triangolo che rotola bene?

Infermieri, anziani e tecnologia: un triangolo che rotola bene?

“Stile… è leggerezza nello sforzo”

Questa definizione di Erri De Luca – presa da “I pesci non chiudono gli occhi” (2011) – potrebbe sintetizzare bene le aspettative degli infermieri nei confronti della tecnologia dedicata alla loro professione.

 

In particolare, l’articolo che qui cercherò di condensare si intitola “L’invecchiamento nella forza-lavoro infermieristica e la tecnologia”, scritto da Diane Mahoney, docente alla facoltà di scienze infermieristiche a Charlestown, nel Maryland e pubblicato su “Gerontechnology” (2011;10(1):1325). Il contenuto è, data la provenienza, “targato” USA, ma sarebbe interessante un confronto con la situazione italiana. La sintesi dell’articolo può venire strutturata in alcune sezioni, sia pure non coincidenti con la sequenza originale.

 

Il paradosso dello squilibrio domanda/offerta

A livello mondiale, gli infermieri costituiscono la risorsa sanitaria più diffusa, contando circa 13 milioni di professionisti. Negli Stati Uniti d’America, gli infermieri sono i più importanti prestatori di aiuto per gli anziani: dotati di ampia autonomia ed investiti di compiti assai vasti e delicati – compresi ambiti prescrittivi – rappresentano una garanzia per la crescente popolazione geriatrica e per i soggetti più fragili, anche socialmente.

 

Dal 1975, gli infermieri statunitensi possono acquisire una specializzazione in geriatria: un simile ruolo è fonte di reciproca soddisfazione, per assistiti ed assistenti. Attualmente il rapporto numerico specifico tra utenti (di qualunque età) ed operatori è di poco superiore a 100:1, ma il “baby boom” rischia di destabilizzare la  situazione. L’età media degli infermieri negli Stati Uniti è di 47 anni (come in Svezia): se all’inizio degli anni ’80 metà di costoro aveva meno di 34 anni, nel 2008 altrettanti avevano compiuto i 50 anni. Ciò comporta che metà della “forza lavoro” infermieristica nell’arco di 5 anni avrà raggiunto i 56 anni, che negli USA individuano l’inizio della età pensionabile per tale categoria.

 

Il paradosso didattico

Il paradosso demografico/assistenziale va di pari passo con un paradosso formativo. Negli USA, per gli studenti infermieri è in atto un calo nella offerta universitaria a più livelli. Gli infermieri docenti invecchiano; a fronte dell’aumento delle aspettative da parte degli allievi, vi è la consapevolezza di una distanza crescente tra didattica e pratica clinica anche riguardo alle nuove opportunità offerte dalle tecnologie; non crescono invece gli stipendi dei docenti. Lo squilibrio tra invecchiamento della generazione dei “baby boomers” e contrazione dell’offerta infermieristica rischia di creare la “tempesta perfetta” di uno “tsunami geriatrico”, anche per la scarsa visibilità della figura dell’infermiere nelle offerte di servizi, che pure vedono proprio tale professione al centro di progetti assistenziali.

 

La tecnologia può venire potentemente in soccorso alla formazione, sia facilitando il compito per gli insegnanti più anziani, per esempio mediante la formazione a distanza, che stimolando i discenti più giovani, consueti alle sempre crescenti opportunità offerte dalla realtà virtuale. L’impiego della tecnologia nella didattica può soddisfare anche le richieste sempre crescenti degli studenti, che si aspettano risposte in tempo reale senza soluzione di continuità.

 

Le difficoltà di una  professione

Vanno poi presi in considerazione i problemi intrinseci alla professione, che si trova collocata al 3° posto tra i 10 lavori più usuranti/rischiosi. In particolare, l’incidenza della lombalgia (15%) risulta più alta del 3% rispetto ad altri lavori, e cresce con l’età. Pertanto circa 1 infermiere su 7 abbandona la professione proprio a causa della lombalgia. Da qua, la elaborazione di linee guida sulla movimentazione manuale dei carichi, a partire dal 1981, ove viene anche individuata in 16 kg la soglia tollerabile.

 

Da allora, le iniziative formative si sono moltiplicate, anche grazie alla rete telematica, ove alcune pubblicazioni sono liberamente accessibili. Parallelamente, molte organizzazioni stanno cercando, anche se spesso in modo poco organizzato, di trattenere le infermiere più esperte, modificandone gli adempimenti lavorativi, anche come figure di appoggio per le colleghe più giovani neo-assunte. Cresce tra gli amministratori la consapevolezza della varietà nei motivi di insoddisfazione professionale tra gli infermieri infra65enni. Viceversa, proprio la crisi economica sembra costituire uno dei fattori che trattengono molte persone dall’abbandonare il lavoro, quando non addirittura a riprenderlo:3 infermieri su 5 proseguono il lavoro almeno fino ai 62 anni, età corrispondente a quella di pensionamento “precoce”, nel sistema di sicurezza sociale statunitense.

 

Aspettative e remore nei confronti della tecnologia; le prospettive della ricerca

L’Accademia Infermieristica Americana ha condotto una indagine su oltre 1000 persone operative presso 200 unità ospedaliere per acuti. Ne sono emerse 8 aree in cui la tecnologia può venire in supporto alle attività infermieristiche quotidiane, in ambito medico-chirurgico: ammissione, dimissione, trasferimenti; coordinamento dell’assistenza; somministrazione delle cure; comunicazione; documentazione; medicazioni; movimentazione dei pazienti; forniture.

 

Per esempio, una “camera intelligente” potrebbe presentare le informazioni salienti sul paziente che vi si trova degente, facilitando il passaggio delle consegne, con la conseguenza anche di aumentarne la sicurezza; i codici a barre, adottati in ¼ dei no
socomi, possono ridurre gli errori nella somministrazione delle terapie (come fu suggerito proprio da un infermiere). Una recente indagine sulle opinioni circa il sistema dei codici a barre per la gestione delle terapie testimonia l’attenzione degli infermieri per migliorare gli strumenti tecnologici disponibili per loro.

 

La gestione del paziente dimesso dall’ospedale è un settore particolarmente critico, posto che quasi 1 beneficiario di Medicare su 5 viene ri-ospedalizzato entro 1 mese, che il 90% di tali ri-ammissioni non è prevista, e che manca un programma di controlli in metà dei casi: ne risulta un costo annuo di 17,4 miliardi di $ USA (stime del 2004). Viceversa, un programma di controlli infermieristici post-dimissione si è dimostrato capace di ridurre i costi umani ed economici, in anziani ospedalizzati per insufficienza emodinamica, migliorandone a breve termine qualità di vita e soddisfazione, abbattendo sensibilmente le nuove ospedalizzazioni, in una ricerca clinica controllata condotta a Philadelphia nell’arco di 1 anno. Un programma, sostenuto da infermieri appositamente formati, di coinvolgimento attivo del paziente si è dimostrato capace di ridurre le ri-ospedalizzazioni a 6 mesi in circa 750 ultra75enni coinvolti in una ricerca clinica controllata, nel Colorado, portando anche a risparmi di quasi 500 $ USA pro-capite.

 

La tecnologia per l’assistenza a distanza può ridurre il tempo usato nei trasferimenti, aumentando il numero degli assistibili, ed offrendo valide opportunità di lavoro per infermieri esperti ma non più in grado di affrontare le fatiche ed i ritmi dei turni consueti. Recentemente sono state emanate linee-guida per la tele-assistenza, favorita dalla riforma sanitaria statunitense, anche con il contributo di importanti aziende informatiche. Un obiettivo esplicito della riforma sanitaria consiste nel passare da un sistema “a silos” ad uno dove le cure per acuti, a lungo termine e riabilitative operino “in rete”, anche col concorso della tecnologia. In prospettiva, la ricerca, coinvolgendo attivamente figure infermieristiche, punta a sistemi robotizzati capaci di “leggere” e supportare l’ambiente anche in termini emotivi, interagendo vocalmente, anche mediante infermieri “in linea”.

 

Per essere davvero utile, però, quest’ultima deve essere realmente “intelligente”, evitando sprechi di tempo e frustrazioni. Il caso di una banale chiamata su di un sistema di all’erta è esemplificativo: la tecnologia deve risolvere problemi di “semantica” per assegnare una priorità tra una reale situazione di allarme in atto, ed una indicazione di batteria scarica. Parimenti, le segnalazioni di interferenza farmaco-terapeutica hanno imposto una revisione, in modo che venissero segnalate solo interazioni realmente pericolose, pena lo spegnimento del sistema di allarme. La taratura dei sistemi di monitoraggio in ambito residenziale e/o domiciliare deve venire effettuata in modo accurato, se si vuole evitare un innesco ripetuto di allarmi, magari interrompendo altre importanti pratiche assistenziali, in caso di una levata notturna per una fisiologica minzione, conclusasi felicemente col rientro della persona sorvegliata nel proprio letto.

 

La “intelligenza” dei sistemi di teleassistenza deve trasformare una congerie di singoli dati sparsi sui parametri vitali in forme aggregate, rapidamente ed utilmente interpretabili: un grafico di tendenza condensa informazioni fisiologiche in un quadro sintetico immediatamente intellegibile, laddove una mera sequenza di risultati di tele-monitoraggio può trascendere in un impegno di tempo soverchiante, col rischio di non cogliere un passaggio-chiave. Il superamento di problemi e limiti come quelli prima segnalati potrà tornare vantaggioso anche per un settore in rapidissima espansione negli USA: quello delle consulenze “al dettaglio”, arrivato ai 50 milioni di visite annue, a supporto di una utenza sottoservita dal sistema delle cure primarie, con sollievo della pressione sui dipartimenti di emergenza. Non va trascurato il fatto che tale modalità di assistenza, logisticamente marginale rispetto ai “luoghi della cura” più tradizionali, sta raccogliendo l’attenzione anche di grandi agenzie assicurative statunitensi, come Medicare e Medicaid.

 

In sintesi, gli infermieri sono ben disposti verso la tecnologia, a patto che quest’ultima serva a curare meglio i pazienti, e non sia fine a se stessa, o peggio, che sia quest’ultima ad abbisognare delle loro cure. Gli infermieri si sentono frustrati dalle incombenze burocratiche: vorrebbero che la tecnologia non si limitasse ad archiviare dati (da introdurre magari ripetutamente), ma integrasse e restituisse informazioni in modo da far risaltare elementi rilevanti, gerarchicamente disposti in modo da facilitare i processi decisionali. In sostanza, gli infermieri chiedono più tempo e risorse per curare i pazienti, non le dotazioni tecnologiche.

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