27 Ottobre 2022 | Professioni

Arteterapia con persone anziane e capacità negativa

L’arteterapia è una disciplina che utilizza i materiali artistici per favorire il benessere psico-fisico delle persone. Nel presente contributo, Sara Noli espone il valore degli interventi di arteterapia realizzati con le persone anziane e illustra i benefici anche per i loro familiari e per gli operatori dell’équipe di assistenza.

Arteterapia con persone anziane e capacità negativa

L’arteterapia è una disciplina che utilizza i materiali artistici per favorire il benessere psico-fisico delle persone. I destinatari possono essere bambini, adolescenti, adulti e anziani proprio perché, in ogni età della vita, è possibile utilizzare il mezzo artistico per esprimersi. Nell’arteterapia non sono necessarie capacità artistiche particolari: ciò che conta è il processo creativo che porta all’espressione di sé e della propria creatività personale nella creazione di un un’opera, senza che siano espressi giudizi di tipo estetico.

 

Che cos’è l’arteterapia?

Ci sono varie scuole di arteterapia in Italia1che hanno alcuni nodi centrali comuni e delle differenze che caratterizzano nello specifico ciascuna scuola. In questo contributo mi riferirò principalmente al metodo “arte come terapia” fondato da Edith Kramer. Edith Kramer è stata allieva di Friedl Dicker Brandeis di cui ha raccolto l’eredità. Friedl, artista austriaca, allieva di Cizek e Itten e poi del Bauhaus, è stata successivamente internata a Terezin in quanto ebrea e lì ha svolto la sua opera facendo disegnare i bambini presenti nel campo con i materiali di fortuna che riuscivano a trovare: moltissimi disegni da lei catalogati si sono salvati e sono conservati nel museo Ebraico di Praga. Nel lavoro con i bambini al campo ha potuto sperimentare il valore terapeutico dell’arte e si è riproposta di pubblicare i propri studi finita la guerra, ma purtroppo è morta a Birkenau in una camera a gas.

 

Edith Kramer è partita dal prezioso lavoro di Friedl e l’ha sviluppato e sistematizzato, contribuendo poi a fondare nel 1976 un programma per l’insegnamento dell’Arteterapia presso la New York University. Nel metodo “arte come terapia” particolare attenzione è data al processo creativo, più che al solo risultato finale, proprio perché è nel processo che il soggetto può esprimersi; l’opera non è da considerarsi in sé, isolata, ma in quanto prodotto di un determinato processo creativo. Ecco che quindi è l’arte nel suo processo creativo ad essere terapeutica.

 

Nel metodo “arte come terapia”, i materiali artistici vengono proposti nella “tavola imbandita” e sono a disposizione della persona che può scegliere ciò che preferisce utilizzare in quel dato momento. I materiali (carta di vari colori e grammature, matite, pennarelli, pastelli, acquerelli, tempere, materiale da riciclo) stimolano la sensorialità di ognuno/a proprio grazie alle caratteristiche intrinseche di ciascun materiale. L’atelier in cui è opportuno realizzare un incontro di arteterapia è una stanza accogliente che possa permettere una certa riservatezza: la stanza è infatti uno spazio simbolico in cui la persona può esprimersi senza essere giudicata né dall’arteterapeuta né dagli altri partecipanti (nei casi in cui la persona non possa muoversi sono stati sperimentati atelier “mobili”).

 

Ogni incontro ha una scansione rituale: accoglienza – fase creativa – verbalizzazione – riordino. Il tempo maggiore è riservato alla fase creativa, ma tutte le fasi sono importanti. L’accoglienza permette di entrare nel clima di quell’incontro, ricreando il gruppo e “ritrovando” l’arteterapeuta. La fase creativa è la fase principale e ad essa è anche dedicato il maggior tempo: ciascuno scegliendo il materiale realizzerà la propria opera. Solitamente il tema è libero ma l’arteterapeuta può valutare di inserire degli input tematici. Nella verbalizzazione ciascuno può condividere in libertà quanto si sente di dire sulla propria opera: è possibile anche solo mostrarla e indicare i materiali utilizzati oppure raccontare ciò che si è provato durante la realizzazione o ciò che evoca quel lavoro. Si può scegliere di dare un titolo all’opera e condividere questa scelta.

 

La verbalizzazione è un momento di valorizzazione dell’opera, in cui chi l’ha prodotta può condividerla con il gruppo e/o con l’arteterapeuta. Il riordino dei materiali è importante in quanto è a livello simbolico un momento di riordino emotivo, che permette di riequilibrare le emozioni emerse durante l’incontro, prima del ritorno alla propria vita quotidiana.

 

Come l’arteterapia può favorire il benessere dell’anziano?

Nei servizi rivolti alle persone anziane sono già state intraprese molte esperienze di Arteterapia, in particolare nelle RSA, nei Centri diurni, nei Caffè Alzheimer e negli Hospice. Si tratta di esperienze che vedono coinvolti gli “utenti” anziani ma anche i loro familiari e gli operatori in servizio, con progetti che variano a seconda dei destinatari e del contesto. Fondamentale, in questi contesti, è il lavoro d’equipe, in un costante confronto tra l’arteterapeuta e le figure sanitarie ed educative.

 

L’incontro di arteterapia ha la durata indicativa di un’ora ma essa può essere modulata a seconda del tipo di utenza. Un progetto prevede solitamente un percorso di una ventina di incontri a frequenza settimanale. Tale durata è fondamentale per consentire agli anziani (ma non solo) di vivere, ciascuno con i propri tempi, il processo creativo: ciò che conta non è solo il prodotto artistico ma come viene creato, che emozioni emergono, che relazioni si instaurano, per questo è necessario prevedere un tempo disteso. Centrale nel metodo arte come terapia è appunto il processo, dentro il quale si sviluppano anche le relazioni. Solitamente non viene dato un tema al singolo incontro ma può essere utile prevedere in atelier la presenza di immagini o disegni da colorare che possono servire come input.

 

Per la realizzazione di progetti di arteterapia per persone anziane occorrono attenzioni specifiche sia nella scelta dei materiali, sia nella gestione delle diverse fasi di ciascun incontro. L’arteterapeuta deve pertanto valutare quali materiali inserire e come integrarli e proporli a seconda delle persone che incontra, alle esigenze specifiche legate ai deficit delle persone coinvolte ma anche ai racconti che emergono durante il percorso. Può essere ad esempio opportuno prevedere materiali che lascino una traccia ben visibile e che si impugnino facilmente, per esempio preferendo i “matitoni” alle classiche matite colorate.

 

A seconda dei casi possono essere anche utili tavolette come supporto a cui attaccare il foglio. Tra i materiali di riciclo utilizzabili possono essere utili le stoffe per attivare la memoria tattile: le stoffe fanno parte della nostra vita dalla nascita alla morte e, in particolare nel passato, soprattutto le donne avevano molta familiarità con esse perché era più d’abitudine confezionarsi in casa gli abiti o ricamarli. A seconda del grado di autonomia di ciascun partecipante, l’arteterapeuta può prevedere l’effettivo ritiro dei materiali utilizzati o anche solo il ritiro dell’opera nella propria cartellina.

 

In linea generale sono molti i modi con cui l’arteterapia può essere utile nell’anziano allo scopo di rinforzare “il senso di sé”:

  • in presenza di deperimento cognitivo l’esperienza sensoriale (tramite i materiali) può attivare ricordi ed emozioni in modo più immediato
  • l’attivazione di ricordi può facilitare il racconto autobiografico: ricostruire e raccontare la propria storia è un desiderio che può essere maggiormente sentito in una fase della vita in cui si “tirano le somme”, pur nei cambiamenti della vita
  • la creazione di un’opera aumenta il senso di autoefficacia: per creare vengono effettuate delle scelte che permettono al soggetto di “sentire” questa sua capacità. Inoltre il prodotto finale è qualcosa di concreto, visibile e tangibile, che restituisce in modo oggettivo la propria capacità di fare
  • in un clima di non giudizio, ciascuno può sentirsi libero di esprimersi e può sentirsi valorizzato dal gruppo o dall’arteterapeuta
  • vengono valorizzate e rinforzate le capacità residue
  • in caso di incontri di gruppo, il gruppo stesso è un elemento che può ulteriormente sostenere e favorire le capacità relazionali
  • vengono rinforzati per quanto possibile i comportamenti autonomi (nel processo creativo e nella fase di riordino)
  • l’utilizzo dei materiali nella fase creativa può favorire l’autoregolazione emotiva e il rilassamento.

 

 

L’arteterapia con le persone anziane: “muoversi” nel to care

L’arteterapia non è una professione sanitaria ma contribuisce a favorire la “salute” delle persone, intendendo il termine con un senso ampio così come definito dall’OMS: “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. In questa direzione anche il concetto di cura a cui fa riferimento l’arteterapia è molto esteso; una riflessione linguistica può essere utile per approfondire questo aspetto. “In ambito sanitario il termine cura si riferisce sia all’insieme dei medicamenti e terapie di diverso tipo per il trattamento di una malattia o di un disagio, sia all’interesse sollecito e costante per qualcuno”. La lingua inglese utilizza due termini per indicare la cura: to cure, eseguire un intervento terapeutico e to care, esercitare un’attività curativa (Acocella, Rossi, 2017)2.

 

Il to care si muove quindi nella sfera della salute intesa come benessere e non solo assenza di malattia. Si tratta di un approccio che tiene conto della complessità delle situazioni e che necessita di un opportuno confronto con tutte le altre figure che si muovono nell’ambito della cura: ciascun professionista porta il proprio punto di vista per concorrere all’obiettivo, il benessere della persona. Per un arteterapeuta muoversi nel to care significa stare qui e ora nella relazione, alla giusta distanza: quest’ultimo è un concetto chiave nel metodo “arte come terapia”. L’arteterapeuta è infatti una “terza mano” che supporta la persona senza sostituirsi ad essa. L’arteterapeuta si muove cercando l’equilibrio tra supportare l’altro e lasciare, al contempo, all’altro la propria autonomia: questa ricerca della giusta distanza è possibile solo appunto nell’ascolto dell’altro, nel qui e ora.

Figura 1 – Un’immagine di “To care

 

L’idea di partire da un uovo per rappresentare il “to care” è nata dal fatto che, durante un’esperienza di arteterapia con un gruppo di anziani, mi sono sentita come “camminare sulle uova” e ho scelto di esprimere con un lavoro artistico quello che stavo provando.

 

La mano mi ha richiamato il concetto di “terza mano”, intendendo con essa la posizione che va a ricoprire l’arteterapeuta, stando nel qui e ora nella relazione, alla giusta distanza, essendo presenti ma senza imporsi. Ho scelto di tenere la mano in quel modo per indicare quello spazio di accoglienza che l’arteterapeuta offre, in un clima di rispetto e non giudizio, e che permette l’espressione, lasciando un vuoto che permette “il pieno”: così si può aprire lo spazio della creatività.

 

L’uovo mi richiama diverse caratteristiche tipiche dell’anziano: è semplice ma nasconde al proprio interno qualcosa di meraviglioso, fragile e nello stesso tempo resistente. L’uovo è al centro, come avviene nella relazione; se si stringe troppo la mano si rischia di romperlo, ma se non si offre contenimento esso rotola via. Il nastro colorato indica i materiali artistici, il mezzo della relazione che caratterizza l’arteterapia nella propria specificità. L’arteterapeuta diventa così un contenitore che permette un contenuto (concetto caro a Bion)3 ed esercita una holding (funzione approfondita da Winnicott)4, tiene cioè per mano dando quella sicurezza che permetta anche di lasciare la mano stessa.

 

Una capacità dell’arteterapeuta (e non solo): la capacità negativa

E’ importante che l’arteterapeuta5 abbia tra le sue “skills” la “capacità negativa”6., capacità descritta dal poeta J. Keats che, in una lettera ai fratelli George e Thomas, così la descrive: “ […] ho capito qual è la qualità che ci vuole per fare un Uomo di successo, in particolare in Letteratura, qualità che Shakespeare possedeva in massimo grado; intendo la Capacità Negativa e cioè quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione”(Keats, 2016).

 

Il poeta è quindi colui che sa stare nell’incertezza senza temerla in quanto consapevole che è proprio questa condizione a permettergli di raggiungere i propri obiettivi. Sa che la ragione non basta (non dimentichiamo che Keats apparteneva alla corrente del Romanticismo), accetta di non com-prendere tutto subito: la poesia è per lui apertura all’altro ed egli cerca la poesia intorno a sé, in relazione costante. Sa che occorre pazienza, parola che deriva dal greco hypomonè che, etimologicamente significa “il mistero della pazienza giace fra un duplice scomparire (hypo) e nel contempo permanere (ménein)” (Mistura, 1995).

 

In arteterapia cosa può voler dire sviluppare la capacità negativa?

Una poesia di Keats7ci può dare alcuni spunti:

Insegnami tutto, o Musa, e gridalo forte,
Che giunga sin qui, sulla vetta del Nevis, orbo di nebbia!
Se lo sguardo volgo giù nei crepacci, un sudario
Di vapori li nasconde, ed è desolato inferno.
Se guardo in alto, e solo nebbia ostinata
Scorgo, m’accorgo che tanto poco so
Del cielo. Sotto di me la nebbia si dilata
Sulla terra, e altrettanto
Ottenebrata è la visione che ho dell’uomo.
Qui la roccia, la pietra sotto i piedi sento,
E soltanto questo so io, povero elfo stolto:
Tutto che i miei occhi incontrano è roccia
E nebbia, non della montagna oscuro mistero
Soltanto, ma della mente anche, e del pensiero (Keats J, 2018)

 

Nella poesia si parla di nebbia, che metaforicamente può ben indicare la condizione di incertezza. Quali nebbie può trovarsi ad affrontare l’arteterapeuta nell’incontro con le persone anziane? Quali incertezze sopportare?

 

Il vuoto: a volte nei percorsi sembra che non succeda nulla, non si capisce che direzione stia prendendo il percorso, si ha una sensazione di stallo. Questo però può dipendere dalle aspettative dell’arteterapeuta di arrivare, con progressioni rapide ed evidenti, ad percorso luminoso. Occorre tener presente che ciascuno ha i suoi tempi, che non ci sono obiettivi standard da raggiungere, che i percorsi sono spesso fatti di “alti e bassi”, come la vita del resto. E soprattutto significa che è proprio “il vuoto” ciò che può permettere di raggiungere “un pieno”. Non sopportare il vuoto espone l’arteterapeuta al rischio di sostituirsi alla persona o, al contrario, di arrendersi ad esso e non fare niente.

Le domande: è fondamentale porsi domande in quanto consentono all’operatore di mettersi in discussione, di non definire una situazione una volta per tutte e di interrogarsi sul proprio operato. E’ utile stare nella domanda senza l’impazienza di dover subito dare una risposta; le risposte verranno via via.

I tempi lunghi: in particolare con le persone anziane il tempo è dilatato e il decadimento psicofisico comporta un rallentamento nello svolgere anche operazioni di routine. É necessario quindi allenarsi ad attendere, a considerare che i movimenti avvengono più lentamente, che occorre magari anche parlare più lentamente: questo per sintonizzarsi su ritmi diversi rispetto a quelli a cui la vita quotidiana ci sottopone.

La frustrazione: non sempre gli anziani manifestano un’adesione entusiasta di fronte al mezzo artistico dell’arteterapia. Va maturata la consapevolezza che i destinatari anziani sono spesso persone abituate al duro lavoro, che possono aver utilizzato i materiali artistici durante l’infanzia e poi più. L’arteterapeuta può quindi venire a contatto con due tipi di frustrazione, quella relativa alle proprie aspettative di operatore e quella manifestata dalla persona. Frasi come “io non sono capace” possono sentirsi in atelier e vanno accolte: l’arteterapeuta è chiamato a favorire l’espressione individuale di ciascuno, anche delle proprie fragilità, garantendo la libertà espressiva e il clima di non giudizio per contenere l’ansia da prestazione.

Le difese: è importante che l’arteterapeuta riconosca e rispetti le difese che le persone possono mettere in atto durante la relazione. E’ fondamentale prestare molta attenzione a non forzare questa difese perché esse hanno lo scopo di proteggere l’individuo.

Il dolore: fisico e morale. In atelier tutte le emozioni possono emergere, verbalizzate o meno, emozioni che esprimono la sofferenza legata alla propria condizione, al fare i conti con la morte e con la perdita delle persone care. E’ importante che l’arteterapeuta accolga questo dolore, non negandolo, non dando risposte consolatorie, ma contenendolo empaticamente.

I silenzi: è importante far sì che ciascuno possa avere silenzio per creare. Il silenzio a volte può spaventare, si può avere la tendenza di riempirlo pur di non “sentirlo”, ma a volte le parole possono essere in realtà un ostacolo nel processo creativo. Occorre quindi che l’arteterapeuta dosi le parole con attenzione e si ponga soprattutto in rispettoso ascolto. Come ci insegna la musica, i silenzi fanno parte della partitura.

La libertà: l’altro è libero e quindi può fare scelte che non condividiamo. Se esse non recano danno, vanno accolte e rispettate. L’altro è libero, per esempio, di decidere di non partecipare all’incontro o di non verbalizzare alcune emozioni: occorrerà capirne i motivi ma senza forzare.

 

Proprio sopportando le incertezze, senza incorrere nel rischio di sostituirsi all’altro, ma nemmeno stando in un’attesa inerme, l’arteterapeuta può stare nel qui e ora della relazione, in ascolto dell’altro e così svolgere l’attività di cura in senso ampio, favorendo il benessere attraverso i materiali. A fronte di queste nebbie, la poesia suggerisce che ci sono delle “roccesu cui appoggiare stabilmente i piedi per procedere nel cammino: per l’arteterapeuta le rocce sono rappresentate da metodo e teorie apprese, supervisione e confronto con l’equipe, dall’esperienza che si sedimenta. E soprattutto, la relazione che via via si costituisce con la persona diventa essa stessa pietra d’appoggio e base salda con cui procedere.

 

 

“Serbatoi di speranza” per l’arteterapeuta

Stare nell’incertezza è faticoso (il covid ce l’ha fatto ancor più toccare con mano) e, a volte, l’operatore ha bisogno di una bella boccata d’ossigeno per ritemprarsi e non farsi prendere dall’ansia. Ecco allora dei “serbatoi di speranza” a cui attingere per ricaricarsi. L’espressione è di Maria Pia Fontana che in un suo articolo, in cui parla del dolore a cui sono esposti gli operatori sociali, parla anche di serbatoi di speranza.

 

A partire da quanto Fontana esprime, è possibile indicare alcune piste, concretizzabili anche nel lavoro dell’arteterapeuta:

  • Consapevolezza della fatica che lo stare nell’incertezza comporta, senza negarla, ma sapendo che da essa può nascere qualcosa di importante
  • Cura di sé: non si può essere fattori di cura per gli altri se non ci si prende cura di sé stessi. E’ utile quindi prendere del tempo per sé ed è consigliabile anche un percorso di analisi personale
  • Nutrirsi di bellezza: è un consiglio valido per tutti, ma ancor più quando si sta nella “nebbia”. Per l’arteterapeuta ciò vuol dire soprattutto frequentare e fare arte, ma anche stare nella natura, leggere, andare al cinema, andare o fare teatro, danzare, fare musica, sport, cucinare… Questi nuovi nutrimenti extra-lavorativi porteranno anche nuovi sguardi sulle cose, oltre che farci rifiorire
  • Archivi di gioia: scrivere è un’attività che aiuta già di per sé, ma a maggior ragione è utile tenere traccia di quanto di positivo accade per poterlo rileggere nei momenti di difficoltà, come un “brodo caldo per l’anima”. In arteterapia sono utilizzate le note di processo, che aiutano a far decantare quanto avviene in atelier e tenere traccia del percorso
  • Condivisione: condividere la fatica aiuta a sentirsi meno soli. In atelier i partecipanti possono sperimentare questo nel momento di verbalizzazione durante il quale, grazie al clima di non giudizio, possono emergere anche condivisioni profonde e il gruppo, in quei casi, diventa solitamente solidale e spesso ancora più unito. Inoltre dal lato dell’arteterapeuta in quanto operatore è possibile sperimentare la bellezza della condivisione e il suo potere ricostituente nella supervisione e nell’equipe
  • Principio di speranza + intelligenza dei margini (De Leonibus, 2014): il principio di speranza consiste nella fiducia che le cose possano modificarsi e cambiare. Affinché questo non sia solo però un’utopia ecco l’intelligenza dei margini, ossia l’assenza di pretesa di arrivare subito al centro della questione e l’accettazione fiduciosa che il cambiamento è possibile nel qui e ora della situazione. In arteterapia significa aver fiducia nelle possibilità dei partecipanti all’atelier, accompagnandoli nel percorso ma senza forzature
  • Resilienza: è un termine ormai diffuso, ancor più dopo l’esperienza del covid, che in fisica sta ad indicare la capacità dei materiali di resistere agli urti senza rompersi. In ambito psico-sociale tale termine è utilizzato per indicare la capacità di ritrovare l’equilibrio e un funzionamento sano dopo un trauma. Per l’arteterapeuta vuol dire sopportare il dolore altrui e i possibili insuccessi, per il paziente vuol dire sperimentare che è possibile superare un trauma. E questo genera speranza: la fatica e il dolore non hanno l’ultima parola.

Note

  1. É possibile consultare un elenco di quelle certificate, che garantiscono degli standard qualitativi di formazione, sul sito dell’associazione professionale
  2. In inglese è presente anche la distinzione tra disease, affezione oggettiva, e illness, affezione soggettiva
  3. Contenitore-contenuto: in Bion, semplificando moltissimo, esprime un aspetto fondamentale della relazione madre-bambino. La madre è “contenitore” in quanto non offre solo risposte ai bisogni primari del bambino ma anche contiene le angosce, il dolore e la frustrazione del neonato e le restituisce in maniera più gestibile permettendo la formazione del pensiero, il contenuto, nel bambino
  4. Holding è una parola inglese il cui significato, tradotto, corrisponde a “colui che tiene”, “colui che sostiene”. In estrema sintesi, nel pensiero di Donald Winnicot il termine viene ad indicare una funzione materna o comunque del caregiver: la madre sufficientemente buona è colei che recepisce i bisogni del bambino e sa soddisfarli e contenerli, sa dosare il livello di frustrazione, contiene l’angoscia e sa quando intervenire e quando non occorre. Il bambino si sente al sicuro, sostenuto (sia a livello fisico che globale) e accolto
  5. Ritengo che il discorso si possa ampliare alle varie professioni d’aiuto
  6. Per una trattazione più esaustiva si veda il volume Capacità negativa in arteterapia – La cura della relazione, Erickson, 2021
  7. Il titolo della poesia coincide con il primo verso

Bibliografia

Acocella A.M., Rossi O. (2017), La cura. Ambiti e forme in psicoterapia e nella relazione d’aiuto, Franco Angeli.

De Leonibus R. (2014), L’intelligenza dei margini, in Rocca, n. 8, 15 aprile.

Fontana M.P. (2017), Come far fronte al dolore a cui siamo esposti, in Animazione Sociale, vol. 309, n. 4, pp. 72-84.

Keats J. (2016), Lettere sulla poesia, a cura di N. Fusini, Feltrinelli.

Keats J. (2018), Poesie, Mondadori.

Mistura S. (1995), La riabilitazione è il lungo respiro della cura, Diabasis.

Noli S. (2021), Capacità negativa in arteterapia. La cura della relazione, Erickson, 2021

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