Uno dei temi più discussi (Di Giulio, 2001) e allo stesso tempo maggiormente controversi nel campo dell’assistenza infermieristica (Clay, 1999) è la cura delle lesioni cutanee (wound care). Nonostante le consolidate conoscenze circa il meccanismo di riparazione dei tessuti che richiede un micro-ambiente umido (Odland, 1958; Winter, 1962; Hinman e Maibach, 1963) l’utilizzo di garze asciutte è ancora diffuso sia in Italia (A.I.S.Le.C, 1996) che in altri Paesi (Ferrel et al., 2000). La diffusione delle medicazioni asciutte per la cura delle lesioni lascia “sgomenti” alcuni Autori (McLellan, 1993).
In una revisione sistematica del Joanna Briggs Institute (un gruppo di infermieri che si occupa di Evidence Based Nursing, www.joannabriggs.edu.au/) si afferma che: “considerando i vantaggi delle medicazioni che garantiscono un ambiente umido è sorprendente che vi siano ancora esitazioni nel trattamento delle lesioni cutanee. È inoltre sorprendente che la medicazione con garza asciutta sia ancora proposta come alternativa” (JBIEBNM, 2001). Tra le medicazioni “asciutte”, la garza iodoformica è ancora molto utilizzata. Circa le motivazioni di questa scelta bisogna rifarsi ai diversi “pareri”, in quanto non esiste una chiara indicazione terapeutica all’ utilizzo. Alcuni colleghi sostengono che “va bene per pulire” le lesioni in presenza di fibrina o necrosi; altri ritengono che “stimola la granulazione nelle lesioni profonde” (lesioni di III e IV stadio). Altri ancora affermano che è utile per le cosiddette “zaffature”, ovvero per riempire le lesioni cavitarie, o per una presunta azione “disinfettante” sulla lesione.
Rispettosi delle singole opinioni, ma orientati sempre più a garantire al cittadino un’assistenza che utilizzi le prove di efficacia disponibili abbiamo cercato sulle banche dati bio-mediche più conosciute (www.ncbi.nlm.nih.gov , 2003; www.elsevier.com , 2003; www.cinahl.com , 2003; www.cancer.gov , 2003; www.cochrane.org , 2003; www.toxnet.nlm.nih.gov, 2003) quali studi avessero valutato l’efficacia della garza iodoformica nella cura delle lesioni.
La ricerca non è stata lunga e in un certo senso anche fruttuosa. Non abbiamo trovato nessuno studio clinico randomizzato e controllato (RCTs) che dimostri l’efficacia della iodoformica. Questo tipo di studi sono attualmente considerati la prova migliore (si parla di “gold standard”) per dimostrare l’efficacia di un qualunque trattamento, sia esso un farmaco sia un intervento assistenziale (AHCPR, 1992; AHCPR, 1994).
Poiché la iodoformica non risponde ad alcuno dei principi scientifici (Tabella 1) e mancano “prove di efficacia”, il suo utilizzo andrebbe abbandonato.
Tanto più in considerazione del fatto che, allargando la ricerca per vedere se altri tipi di studi erano riportati a sostegno della iodoformica, siamo risaliti a una serie di lavori che denunciano, non tanto l’efficacia, ma la potenziale tossicità di questa medicazione. Il primo articolo (Muir, 1903), forse in assoluto uno dei più vecchi scritti sull’argomento, è stato pubblicato nel 1903 dalla prestigiosa rivista The Lancet. Fa una certa impressione leggere le osservazioni cliniche di un chirurgo che cent’anni fa non aveva a disposizione nulla se non pochissimi strumenti di diagnosi. Si trattava di un ampio ascesso definito “non tubercolare” sul polpaccio e sulla coscia destra in un giovane di 35 anni in buone condizioni generali. Durante l’intervento per posizionare un drenaggio, la cavità venne zaffata con iodoformica. I segni e sintomi rilevati successivamente dal chirurgo e associati all’uso di questa medicazione furono tachicardia, nausea, vomito, febbre, tachipnea, disturbi dello stato di vigilanza. È probabilmente il primo caso di intossicazione da iodoformica riportato in letteratura.
Nel 1992, altri Autori (Harry et al., 1992) che lavoravano presso un Centro Antiveleni francese segnalarono tre casi di intossicazione dovuta all’uso di garza allo iodoformio al 10% su lesioni estese. Vennero riferiti sintomi neurovegetativi (tachicardia, vomito) allucinazioni e un caso di stato comatoso. Dopo un periodo di sospensione della medicazione da 3 a 8 giorni, i sintomi regredirono. Gli Autori suggerirono che il problema della tossicità della iodoformica è misconosciuto se si valuta la rarità delle pubblicazioni relative ad intossicazione in rapporto alla quantità di iodoformica venduta.
Nel 1994 altri Autori (Martins et al., 1994) riportarono un caso di tossicità causata da una medicazione con garza iodoformica al 5% utilizzata come tampone chirurgico per fermare un’emorragia in cavità pelvica, conseguente alla resezione di un adenocarcinoma del retto. Gli Autori conclusero che nonostante il frequente uso di iodoformica in ambito chirurgico, i segni e i sintomi dell’intossicazione da iodoformica possono essere facilmente confusi con quelli di altre sindromi, affermando che l’intossicazione non era un evento raro, ma probabilmente poco identificato. Nel 1997 ancora su The Lancet, altri Autori (Yamasaki, 1997) riferirono un identico caso: in paziente di 66 anni con un ascesso “zaffato” con iodoformica presentava sintomi inizialmente incomprensibili, come allucinazioni, agitazione psicomotoria, linguaggio incoerente. Alla Tc encefalo non si evidenziavano alterazioni tali da giustificare i sintomi, che non regredivano con la somministrazione di aloperidolo prescritto dallo psichiatra. Quando sorse il sospetto di un’intossicazione da iodoformica venne dosato il livello di iodio nel plasma che risulti pari a 471 μg/dL (la concentrazione normale è di 4-9 μg/dL). La medicazione venne sospesa e in seguito il delirio scomparve col diminuire del livello di iodio nel plasma.
Il percorso descritto nell’ultimo articolo, pubblicato (Tada, 2002) a 99 anni di distanza dal primo, è simile ai precedenti: un uomo di 76 anni con paralisi sopranucleare sviluppato perdita di conoscenza in seguito al trattamento di una lesione da decubito sacrale con garza iodoformica. Il paziente era in stato comatoso e tachicardico. Le pupille erano miotiche e ariflessiche. L’EEG mostrava un’alterata attività delle onde elettromagnetiche; La concentrazione plasmatica di iodio libero elevata (151 μg/dL), ma altri indici di laboratorio, inclusi quelli relativi all’attività della tiroide nella norma. Venne diagnosticata un’intossicazione da iodoformio, con scomparsa dei sintomi e normalizzazione dei parametri di laboratorio dopo la rimozione della medicazione. Lo studio conclude che, sebbene la iodoformica sia stata ampiamente utilizzata nel trattamento delle lesioni, sono pochi i casi in cui vengono riportati i suoi effetti collaterali, come delirium, cefalea e tachicardia, specialmente in rapporto all’uso ricorrente di questo presidio.
Conclusioni
Attualmente non vi è alcuna prova di efficacia relativa alla iodoformica nell’ambito della cura del paziente con lesioni cutanee.. Esistono al contrario studi che dimostrano la potenziale tossicità del prodotto. Utilizzare la iodoformica risulta una scelta basata sulla “tradizione” e sull’autoreferenzialità; il suo utilizzo è da relegare tra i miti e riti (non solo infermieristici) che costellano la cura delle lesioni cutanee.
Note
Si ringrazia la dottoressa Chiara Benedetti, e il personale della Biblioteca Medica dell’Azienda Spedali Civili di Brescia per la preziosa e indispensabile collaborazione.
Si ringrazia Claudia Caula, infermiera, per l’ aiuto nella traduzione dei testi originali.
Bibliografia
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AHCPR. Treatment of pressure ulcers. Pubbl. n°95-0052-Dic 1994
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