1 Marzo 2010 | Strumenti e approcci

Non esiste una riabilitazione per l’autonomia, è l’autonomia che riabilita


Il cammino che abbiamo percorso

Sono passati oltre 40 anni da quando l’autonomia è stata assunta come parametro per valutare i bisogni della persona anziana e per formulare i piani di assistenza individuale. La progressiva diffusione della scala di Barthel (Mahoney F.I., Barthel D.W.,1965) ha segnato una svolta: siamo passati dall’ottica assistenziale dei vecchi ospizi a quella più riabilitativa delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Le case di riposo e la vita delle persone che vi abitano sono molto cambiate, sicuramente in meglio, ma possiamo fare ulteriori passi avanti. In questo articolo propongo uno spunto di dibattito che parte dai risultati raggiunti fin qui, per proseguire in modo innovativo; propongo una riflessione su come organizzare l’attività di assistenza e cura in vista del miglior grado di qualità di vita possibile per gli ospiti, tenendo conto delle possibilità individuali e dei limiti del contesto in cui ciascuno viene a trovarsi.

 

La Tabella 1 riassume l’evoluzione delle visioni di riferimento della residenzialità per l’anziano fragile, da quella assistenziale a quella riabilitativa, fino a quella capacitante, citando alcune questioni che verranno esaminate in dettaglio nel seguito dell’articolo. È ovvio che per evoluzione non si intende la negazione del passato, bensì un progressivo miglioramento che si basa sulle tappe precedenti e che le integra.

Tabella 1

Quando l’autonomia si riduce

Abbiamo imparato a fare attenzione al grado di autonomia nell’alimentazione, negli spostamenti, nel vestirsi, nel controllo della defecazione e della minzione; abbiamo imparato a formulare dei piani assistenziali individuali che mirano ad aumentare il grado di autonomia quando questa risulta compromessa. Ci siamo abituati a rivalutare periodicamente il Barthel Index, e ad annotare se il grado di autonomia migliora o peggiora nel tempo. Adesso vorrei soffermarmi a riflettere su quei casi in cui osserviamo che l’autonomia tende a ridursi senza che siano sopraggiunti eventi morbosi, come un ictus, che possano spiegare il fenomeno. Ci sono persone che progressivamente riducono l’iniziativa verbale e quella motoria, che sembrano estraniarsi dall’ambiente, che diventano apatiche e che perdono ogni slancio vitale. Sono persone che all’inizio non colpiscono l’attenzione degli operatori perché non disturbano, ma che nel volgere di qualche settimana diventano totalmente dipendenti e richiedono un’assistenza totale.

 

Questo fenomeno è ineluttabile? Dobbiamo accontentarci di annotarlo in cartella o dobbiamo interrogarci su come prevenirlo? È noto che il fenomeno è più frequente nelle RSA che al domicilio, quindi dobbiamo cercare una spiegazione e una strategia preventiva che abbiano a che vedere con la situazione di istituzionalizzazione. Quando osserviamo che un anziano progressivamente si spegne senza un’evidente causa clinica, dobbiamo cercare la causa altrove, cioè nell’ambiente e in particolare nelle relazioni interpersonali che costellano ogni momento della sua vita quotidiana. Dobbiamo interrogarci su di noi, sulle scelte che facciamo. Dobbiamo chiederci che cosa vogliamo osservare, quali obiettivi ci poniamo, quali programmi formuliamo e quali comportamenti mettiamo in atto per realizzarli.

Nei paragrafi che seguono propongo alcune riflessioni sulle persone che vivono nelle RSA e sul ruolo che attribuiamo alla loro autonomia.

 

Di quali persone ci occupiamo?

Un tempo li chiamavamo ricoverati o pazienti, poi abbiamo cambiato cultura e linguaggio e abbiamo imparato a chiamarli ospiti. È stato un importante passo avanti, ma non è ancora sufficiente. Con la parola ospite si sottolinea che li accogliamo benevolmente e che desideriamo rendere il soggiorno in RSA confortevole, tuttavia si sottolinea anche il fatto che la persona in questione, che ha dovuto distaccarsi dalla propria casa e dai propri affetti, non ha trovato un luogo che sia suo, come la casa, in cui poter continuare a vivere secondo i suoi gusti e il suo sistema di valori. Il non trovare un luogo in cui poter vivere secondo il proprio sistema di valori è alla base della perdita dello slancio vitale, della motivazione a vivere. Infatti osserviamo spesso che la perdita dell’autosufficienza può avvenire anche in assenza di danni fisici (impairement) o in presenza di danni di lieve entità che non sono sufficienti per spiegare la disabilità che si osserva (excess of disability).

 

Di quale autonomia ci occupiamo?

Ci sono persone che non vogliono partecipare alle attività di animazione o alla fisioterapia, che non vogliono più nutrirsi o che si oppongono a ogni proposta che viene fatta. Talvolta vengono definiti come non collaboranti, oppositivi, depressi. I vari interventi di stimolazione e di riabilitazione risultano inefficaci. Il soggetto ipocinetico e apatico, nonostante tutta la nostra attenzione e buona volontà, resta ipocinetico e apatico. È stato individuato un problema, l’apatia con sindrome ipocinetica, e sono state cercate delle risposte, come la stimolazione e la riabilitazione. Eppure spesso constatiamo che gli interventi programmati non raggiungono il risultato desiderato. Perché?

 

Da alcuni anni mi sto interrogando su questo fenomeno e sto cercando la spiegazione del fallimento per trovare interventi diversi e più efficaci. Ho cominciato a scriverne in un precedente articolo su questa rivista (Vigorelli P, 2006) nel quale proponevo la Capacitazione come metodologia di empowerment nella cura del paziente affetto da demenza di Alzheimer, poi ho ripreso l’argomento in vari altri scritti (Vigorelli P, 2007a; Vigorelli P, 2008). A distanza di quattro anni mi sono reso conto che quanto ho imparato nella cura delle persone malate di Alzheimer è utile, più in generale, per comprendere il problema dell’apatia nelle persone che vivono nelle RSA, anche in assenza di deficit cognitivi (Vigorelli P, Peduzzi A, 2002; Vigorelli P, 2007b).

 

La capacitazione

La Capacitazione è una tecnica d’intervento che ha per obiettivo creare le condizioni per cui il soggetto possa svolgere le attività di cui è ancora capace, così come è capace, senza sentirsi in errore. Il suo scopo è la felicità del paziente, prescindendo dalla correttezza dell’azione da svolgere. Nella pratica riabilitativa la Capacitazione viene prima dell’intervento riabilitativo vero e proprio e favorisce l’alleanza terapeutica col terapista. Solo in un tempo successivo accompagna l’intervento riabilitativo mentre si svolge, evita la frustrazione per gli insuccessi e rende possibile e piacevole il proseguimento stesso della riabilitazione. La Capacitazione si basa sul riconoscimento delle competenze elementari dell’anziano fragile (v. oltre, all’ultimo paragrafo) e presenta alcune analogie (e differenze) con i metodi già proposti per l’assistenza alle persone con deficit cognitivi, come la Gentlecare di Moyra Jones (Jones M, 1999) e la Validation di Naomi Feil (Feil N, 2003) (Tabella 2).

Tabella 2

 

L’autonomia come fine e come mezzo

Consideriamo per esempio quello che succede quando programmiamo un intervento di animazione o di riabilitazione. Lo facciamo in base all’analisi dei bisogni della persona in questione e l’obiettivo consiste nel far sì che questa possa stare meglio e raggiungere un maggior grado di autonomia. Consideriamo cioè l’autonomia della persona come un fine da raggiungere. Questo intendimento, apparentemente così salutare, porta dentro di sé il germe del fallimento. Secondo questo punto di vista, l’autonomia non appartiene al soggetto, ma è considerata l’obiettivo di un programma riabilitativo da somministrare al soggetto stesso, come se fosse un farmaco. Si somministra la riabilitazione per ottenere l’autonomia, come si somministra l’antibiotico per debellare un’infezione. La mia proposta è diversa e consiste nel considerare l’autonomia della persona come un mezzo, non come un fine.

 

Dobbiamo cioè imparare a cogliere l’autonomia della persona con cui interagiamo nel momento e nei modi in cui essa si manifesta. Solo partendo da questa osservazione, in un tempo immediatamente successivo, possiamo progettare un intervento efficace. Considerare l’autonomia come un mezzo significa accettare la libera espressione del soggetto; significa partire dalla sua autonomia, in ogni momento in cui si esprime, fin dal primo contatto nel momento dell’accoglienza in struttura, poi fin dal primo saluto all’inizio di ogni giornata. Il primo compito dell’operatore non è di riabilitare l’anziano all’autonomia, ma è di riconoscere l’autonomia che lui ha già, così come la esprime. In questa ottica, l’atteggiamento oppositivo che talvolta osserviamo e che vorremmo contrastare è considerato come l’ultima espressione dell’autonomia di chi si trova in una situazione in cui l’autonomia, quando si manifesta, viene ignorata o ostacolata. Talvolta l’anziano non ha scelto se ricoverarsi o dove ricoverarsi, dal momento in cui entra in istituzione non può neanche scegliere quando alzarsi dal letto e quando mangiare. Si trova improvvisamente immerso in un ambiente che funziona secondo regole che lui non conosce e a cui cerca di adattarsi. In molti casi incontra persone che sanno già quali sono i suoi bisogni, le sue abitudini e i suoi desideri in base a un’accurata anamnesi raccolta dal parente-caregiver, senza valorizzare quello che lui stesso potrebbe dire.

 

Purtroppo la realtà che viene a costituirsi, nel preciso istante in cui l’anziano varca la soglia della RSA, è che, da quel momento, non può più vivere secondo le proprie abitudini e il proprio stile di vita. La perdita dello slancio vitale nasce da questo. Infatti ogni uomo vuole vivere la propria vita in un suo modo personale. Se glielo impediamo, la persona si spegne; se invece glielo permettiamo, la persona resta vitale e autonoma, così come le sue condizioni di salute e di cognitività glielo consentono. Passare dal concetto di autonomia come fine a quello di autonomia come mezzo significa questo. Il nostro compito è di fare in modo che la persona che entra in RSA possa manifestare se stessa in ogni momento così come vuole, compatibilmente con i limiti imposti dalla vita in comunità. Questi limiti li abbiamo costruiti troppo stretti e il lavoro che ci attende nei prossimi anni è di spostarli più in avanti, per lasciare più spazio alle persone che cercano nella RSA il luogo in cui vivere, perché possano vivere felicemente nonostante le limitazioni e le malattie che accompagnano l’età avanzata.

 

Come fare?

Il concetto di Capacitazione cui ho accennato all’inizio può diventare l’idea guida del nostro operare e l’approccio capacitante è l’atteggiamento che ci permette di riconoscere, di accettare e di valorizzare l’autonomia della persona anziana che vive in RSA. L’approccio capacitante focalizza l’attenzione sulla persona più che sulla funzione, sulla motivazione più che sul risultato, sull’accogliere l’iniziativa quando si manifesta piuttosto che sulla stimolazione.

 

La proposta

La proposta di questo articolo consiste nel riconoscere l’autonomia dell’anziano fragile, piuttosto che nel promuoverla; nel considerare la sua autonomia come un mezzo su cui far leva per i programmi di riabilitazione, piuttosto che come il fine della riabilitazione stessa.

Secondo questa impostazione:

  • la persona che vive in RSA deve avere la possibilità di parlare e di comunicare così come è in grado di farlo, deve sentirsi ascoltata e deve rendersi conto che quello che dice e che comunica influisce davvero sull’ambiente in cui vive;
  • la persona che vive in RSA deve poter esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti così come li prova. Solo la persona stessa conosce i propri sentimenti e le loro motivazioni. Noi non possiamo giudicarli adeguati o inadeguati. I sentimenti sono sempre adeguati per chi li prova. Possiamo solo prenderne atto e riconoscerli, sia i sentimenti positivi di gioia e di fiducia sia quelli negativi di paura, di rabbia e di tristezza;
  • la persona che vive in RSA deve poter contrattare, deve poter “dire la sua” e decidere sulle cose che lo riguardano. È vero che l’anziano, così come ogni altra persona, deve adattarsi alle regole della comunità, ma è anche vero che un’istituzione che riconosca la propria mission nell’offrire una buona qualità di vita all’anziano deve muoversi nel senso del riconoscimento dell’autonomia dell’anziano lì dove si manifesta, quando si manifesta, così come si manifesta. La strada è lunga, ma credo che valga la pena di andare avanti in questa direzione.

 

Il compito degli operatori

L’osservazione e l’ascolto sono strumenti professionali importanti. L’operatore deve imparare ad osservare e ad ascoltare le persone che incontra in RSA durante il giorno. Dal punto di vista dell’operatore si tratta di incontri finalizzati all’attività di assistenza e cura, dal punto di vista della persona assistita si tratta semplicemente di incontri che punteggiano la sua giornata.

 

La persona ha bisogno di potersi esprimere in ciascuno di questi momenti e non solo in particolari sessioni dedicate alla stimolazione o all’animazione. Il nostro compito, come operatori, consiste nel favorire l’espressione della sua competenza a comunicare e a parlare, della sua competenza emotiva e della sua competenza a contrattare e a decidere, in ogni momento della giornata, in occasione di tutti gli incontri, casuali o programmati. Forse dobbiamo programmare di meno e ascoltare di più.

Bibliografia

Feil N. (2003): Validation. Il metodo Feil. Ed it. a cura di V. de Klerk-Rubin. Minerva Edizioni.

Jones M. (1999): Gentlecare. Changing the experience of Alzheimer’s disease in a positive way.

Moyra Jones Resources Ltd. Ed. It. A cura di L. Bartorelli (2005): Gentlecare. Un modello positivo per l’assistenza. Carocci, Roma.

Mahoney F.I., Barthel D.W. (1965), Functional evaluation: the Barthel index. Md. State Med. J., 14 (2), 61-65.

Vigorelli P. (2006): La Capacitazione come metodologia di empowerment nella cura del paziente affetto da demenza di Alzheimer. I luoghi della cura, 4, 15-18.

Vigorelli P. (2007a): Dalla Riabilitazione alla Capacitazione: un cambiamento di obiettivo e di metodo nella cura dell’anziano con deficit cognitivi. Geriatria, 4, 31-37.

Vigorelli P. (2007b): La Capacitazione: un’idea forte per la cura della persona anziana ricoverata in RSA. G.Geront. 55:104-109; 2007.

Vigorelli P. (2008): Azheimer senza paura. Rizzoli, Milano.

Vigorelli P., Peduzzi A. (2002): Un metodo per prevenire il decadimento dell’anziano fragile ricoverato. Geriatric & medical intelligence. 1, 41-48.

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