5 Ottobre 2018 | Strumenti e approcci

La riabilitazione in geriatria

La riabilitazione geriatrica va intesa come una filosofia di approccio per affrontare condizioni multiple simultanee ed interattive. Questa breve rassegna cerca di confrontare il punto di vista della letteratura internazionale con l’esperienza personale, esplorando quattro punti chiave: efficacia (oggettiva e soggettiva), ostacoli (“giganti geriatrici”), qualità, fondamento epistemologico.


una prassi che qui ed ora vada alla ricerca delle piccole cose che si possono fare e che nel loro insieme portano a qualche risultato …
Zygmunt Bauman, L’ultima lezione

 

 

Secondo l’enciclopedia Treccani, alla voce “Riabilitazione Geriatrica”, si legge che “Il concetto di riabilitazione, nell’ambito geriatrico, travalica il significato e i limiti di un semplice intervento rivolto al recupero di capacità perdute o comunque compromesse”.
Questa premessa rimanda alla complessità – operativa ed anche concettuale – dell’impresa. Difatti, citando letteralmente uno stralcio dalla loro introduzione al libro che hanno curato Giuseppe Bellelli e Marco Trabucchi [2009] affermano che “la riabilitazione geriatrica richiede grandi competenze e sensibilità rispetto alle malattie croniche e alla disabilità dell’anziano, condizioni sempre fortemente intrecciate, tra le quali non è clinicamente possibile identificare un confine, né sul piano patogenetico, né su quello clinico e nemmeno su quello riabilitativo”. Date queste premesse, l’argomento verrà accostato provando a confrontare elementi di letteratura con 25 anni di esperienza personale specifica (in ambito di riabilitazione residenziale), passando in rassegna alcuni argomenti qualificanti: efficacia, ostacoli, qualità, fondamento.

 

Efficacia

Un primo quesito riguarda l’efficacia della riabilitazione geriatrica: a tale domanda, ha risposto una meta-analisi ormai considerata un punto di riferimento nella letteratura, secondo la quale un intervento riabilitativo specificatamente disegnato per gli anziani ha il potenziale di migliorare la funzionalità, il destino sociale e la mortalità [Bachman et al., 2010]. Anche la nostra esperienza è favorevole, come emerso anche attraverso una analisi dei dati derivati dal nostro archivio aziendale – collegato al debito informativo regionale per le “Cure Intermedie” – in occasione di una tesi di master condotta in collaborazione con CERGAS – Bocconi. Di oltre 6.000 pazienti assistiti, 2/3 sono stati dimessi direttamente per il domicilio; il recupero funzionale medio è stato misurato in 16/100 punti all’Indice di Barthel; il guadagno in prestazioni locomotorie è stato misurato in 6/28 punti al test Tinetti. I nostri dati relativi al recupero funzionale ci pongono vicini agli standard internazionali di riferimento, tenendo conto della età avanzata e delle condizioni di partenza cliniche, funzionali e cognitive sovente modeste, tipiche della nostra popolazione. Anche i risultati soggettivi depongono a favore delle nostre capacità di intervento riabilitativo geriatrico. Non solo le persone assistite nel reparto di Riabilitazione Generale e Geriatrica dell’Istituto Golgi dichiaravano elevati livelli di soddisfazione, ma il voto che costoro esprimevano era correlato al loro guadagno funzionale relativo (cioè misurato in % rispetto al livello di ingresso) [Colombo et al., 2009].

 

Inoltre, abbiamo constatato un collegamento tra elementi oggettivi e soggettivi: il cambiamento nel livello di salute auto-percepita – tra dimissione ed ingresso – è risultato associato a cambiamenti in indicatori sia soggettivi che oggettivi di guadagno funzionale. In particolare, il cambiamento tra ingresso e dimissione nell’analogo visivo che esprime (in decimi) il livello di salute auto-percepita, alla analisi multivariata, è risultato correlato alle evoluzioni nelle capacità funzionali (espresse dall’Indice di Barthel) e cognitive (espresse con Mini Mental State Examination, MMSE), e dai cambiamenti nel tono dell’umore (espresso dalla Geriatric Depression Scale, GDS) e nel livello del dolore (stimato mediante analogo visivo, espresso in decimi). Ancora, il cambiamento in salute auto-percepita è risultato correlato al guadagno funzionale rapportato ai livelli pre-morbosi, oltre che al guadagno funzionale relativo, ed era più elevato nelle persone dimesse al domicilio rispetto a quelle che erano andate incontro ad altri destini sociali [Marelli et al., 2013]. Infine, abbiamo trovato una corrispondenza plausibile tra aspettative e risultati dell’intervento riabilitativo [Colombo et al., 2017].

 

Ostacoli

Da subito i “padri fondatori” della disciplina individuarono alcune problematiche chiamandole i “giganti geriatrici”. Ci soffermiamo su quattro di queste situazioni di ostacolo: a) dolore, b) depressione, c) cognitività (e su alcune interazioni), d) fragilità (in varie sue declinazioni).

 

a) Dolore

L’influenza del dolore sui risultati riabilitativi è apparsa evidente in una nostra indagine su 885 pazienti, in metà dei quali, all’ammissione, il dolore era rilevante (definito come equivalente visivo > 5/10): in tale casistica, è stato possibile risolvere completamente od attenuare significativamente il dolore in 2 casi su 3. Il recupero funzionale – rapportato al livello pre-morboso – è risultato fortemente influenzato dall’evoluzione del dolore: allo abbattimento del dolore corrisponde un guadagno funzionale più elevato. Ancora, nella nostra esperienza, il miglioramento nell’equilibrio (misurato come differenza nel punteggio totale al test Tinetti tra ingresso e dimissione) è risultato inversamente proporzionale alla intensità del dolore rilevato al momento della dimissione (Marelli et al., 2012).

 

b) Depressione

La letteratura sui rapporti tra depressione e riabilitazione in geriatria è abbondante. I nostri risultati su 434 persone hanno ribadito la prevalenza della sintomatologia depressiva tra gli anziani ricoverati in ambiente riabilitativo (2 soggetti su 3), ed hanno confermato il peso della sintomatologia depressiva – almeno alla dimissione – sull’esito funzionale e clinico del processo riabilitativo, nonché sulla sua efficienza. La riduzione della sintomatologia depressiva risultò correlata a miglioramenti su importanti elementi di fragilità, e sui risultati e sull’efficienza dell’intervento riabilitativo geriatrico (Colombo et al., 2010). Per esempio, la differenza nel punteggio alla Geriatric Depression Scale tra ingresso e dimissione risultò correlata, alla regressione multipla, con le differenze – sempre tra dimissione ed ingresso – nel test Tinetti per la marcia, e nel dolore (R2 = 0,125; p = 0,006). Ci siamo anche interessati all’interazione tra depressione e dolore: abbiamo confrontato l’entità del guadagno funzionale in ragione dell’evoluzione del dolore durante la degenza e dello stato affettivo. Abbiamo osservato che, in presenza di depressione grave (Geriatric Depression Scale ≥ 3 / 5) – a dolore costantemente assente o risolto – il guadagno funzionale coincide con quello ottenuto in assenza di depressione grave ma in presenza costante di dolore (Figura 1).

Figura 1. Interazione tra evoluzione del dolore, depressione ed esito funzionale. Colombo M., [2010].

 

c) Cognitività

Non vi è dubbio che il deterioramento cognitivo – e tanto più la demenza, così come altri “giganti geriatrici quali comorbosità, confusione, depressione, incontinenza, deficit sensoriali ed impoverimento socio-relazionale” – costituiscano un ostacolo rispetto alla riabilitazione. Ma è altrettanto vero che – come recita un editoriale sul Journal of the American Medical Directors Association – “se escludessimo pazienti carichi di tali problematiche, rimarrebbero pochi pazienti da riabilitare …” [McVeigh & Caplan, 2015]. Se anzi, capovolgessimo il problema, la letteratura ci indica che in caso di frattura di femore in persone con demenza è proprio la riabilitazione residenziale a portare i maggiori benefici funzionali [Chu et al., 2016] e la nostra esperienza diretta ci conferma ciò anche nel caso di pazienti simili che, stante la rilevanza dei problemi comportamentali, necessitano del ricovero riabilitativo in contesti dedicati quali i “Nuclei Alzheimer” [Colombo et al., 2015].

Ma anche al di fuori di tali ambiti specifici il deterioramento cognitivo impatta sui risultati riabilitativi ma non impedisce gli esiti favorevoli di un intervento geriatrico “genuino”. E’ necessario prendere alcune misure ed attenzioni, quali:

  • rispettare i tempi e le motivazioni dei pazienti con deterioramento cognitivo / demenza, proponendogli attività dotate di scopo in tempi e modi adeguati per ciascuno;
  • prestare attenzione a difficoltà magari non esplicitamente espresse (a partire dal dolore);
  • operare in contesti sicuri – e percepiti come tali: non necessariamente la palestra, sfruttando altri ambienti utili quali camere, corridoi, salotti;
  • coinvolgere (specialmente riguardo alle attività della vita quotidiana) il personale ed i familiari.

 

La letteratura più recente sottolinea come i problemi cognitivi ed affettivi interagiscono negativamente in modo sinergico sugli esiti funzionali e sociali della riabilitazione, compreso il prolungamento della degenza, pur senza impedire totalmente il raggiungimento di risultati positivi [Seematter-Bagnoud L. et al., 2018]. La nostra esperienza evidenzia come i pazienti ricoverati nelle riabilitazioni del nostro Istituto siano ad elevato rischio di caduta e come sia spesso presente l’associazione con deficit nelle prestazioni cognitive e/o con sintomatologia depressiva. Benché i nostri pazienti costituiscano una popolazione eterogenea, quasi tutti beneficiano del ricovero riabilitativo sia per le prestazioni motorie e cognitive che per l’ambito affettivo [Marelli et al., 2012].

 

d) Fragilità

Altri aspetti della fragilità costituiscono altrettanti ostacoli e cimenti per la riabilitazione geriatrica. Il delirium – espressione a livello cerebrale della fragilità dell’individuo che vi va incontro – ne costituisce un esempio emblematico, per la sua capacità di incidere anche sulla sopravvivenza a medio termine [Bellelli et al., 2007], oltre che su costi e durata della degenza, e sull’esito sociale del ricovero. In termini funzionali, nel libro citato, Bellelli ha illustrato l’effetto del delirium sull’equilibrio e sul controllo del tronco (vedi tabelle 7.3 e 7.4, pag. 125): anche nella nostra esperienza, il delirium interferisce sul recupero in equilibrio [Colombo et al., 2012].

Gli eventi clinici avversi, infettivi e non, risultano particolarmente frequenti durante la degenza, e riducono – senza abbatterla – la possibilità di dimettere direttamente al domicilio [Marelli et al., 2014]. Più in generale, la gravità clinica (in termini di severità e comorbosità – misurate con la Cumulative Illness Rating Scale” , CIRS) si riflette negativamente sulle capacità funzionali  e sulla efficacia e la efficienza del recupero funzionale [Colombo et al., 2003]. La problematica clinica prolunga la durata della degenza anche in ambiente geriatrico ospedaliero nella esperienza bresciana del Gruppo di Ricerca Geriatrica.
Va peraltro segnalato che – a differenza di altre osservazioni su casistiche più ridotte – nella indagine condotta con CERGAS sopra citata, la durata della degenza riabilitativa è risultata collegata a maggiori recuperi funzionali: possiamo avanzare la congettura che il prolungamento della tempistica sia stato necessario per rimontare eventi clinici intercorrenti, e/o consolidare ricuperi stentati in situazioni di fragilità.

 

Qualità

Da quanto scritto sopra, deriva la necessità di interpretare adeguatamente la “qualità” in riabilitazione geriatrica. Certamente non dovremo basarci su una concezione “oraria” di “intensività” misurata e riportata col cronometro – cui pure la normativa lombarda ci obbliga -, che dovremo sostituire con la capacità di apprezzare – e fare apprezzare – i “piccoli guadagni”, ottenuti con il massimo di capacità tecnico-professionali, come sottolineano Bellelli e Trabucchi, inseriti in uno scenario di fondo che tiene conto delle problematiche cliniche e non cliniche interferenti. Ma sono proprio gli anziani clinicamente più compromessi a presentare la più alta efficacia di recupero clinico (pur tenendo conto degli insuccessi). Qualità significa anche aprire spazi di educazione alla persona assistita ed a chi la cura, in vista della dimissione, da parte di tutta la équipe di cura [Fishleder et al., 2018]. Significa poi cercare di rinforzare per quanto possibile il substrato biologico del paziente, in modo da prevenire nuovi invalidamenti; quindi andare oltre al mero controllo dei sintomi ed al ripristino funzionale, ma impegnarsi in interpretazioni fisiopatologiche che orientino ad un “irrobustimento” del paziente: si pensi in modo emblematico al sostegno metabolico alla fragilità (settore di studio la cui strada è aperta a sviluppi affascinanti).

 

Ovviamente una impresa così vasta ed impegnativa richiede il concorso di una squadra preparata, affiatata ed organizzata, che adotti se possibile strumenti formali specifici quali le carte di monitoraggio infermieristico e riabilitativo (da cui sono derivabili “carte di controllo”). Una squadra che accolga le competenze specialistiche coordinandole sotto una regia forte, indisponibile ad una polifarmacoterapia acefala (e rischiosa): “troppi cuochi rovinano il brodo”, ammonisce Antonio Guaita.

 

Una équipe matura deve saper affrontare anche gli insuccessi. Occorre perciò analizzare i passi inavvertitamente errati che possono aver portato ad insuccessi: autocritica obiettiva e serena autoconsapevolezza sono indispensabili ad una professionalità allo stesso tempo umile ed austera, per trasformare la frustrazione in qualità.

Va poi ancora detto che non sempre la normativa viene in aiuto alla qualità: nella esperienza lombarda degli ultimi anni, la perdita della possibilità di disporre di una quota definita di giorni per effettuare ricoveri ospedalieri brevi o passaggi al domicilio finalizzati a sondare le possibilità di dimissione, senza dover interrompere la degenza, ha costituito un ostacolo poco compreso sia dagli operatori che da pazienti e famiglie.

 

Fondamento

Dopo questa rassegna epigrammatica, sorge una domanda basilare: esiste un fondamento concettuale per la riabilitazione geriatrica? Molti autori ritengono di sì.
Già sul numero del settembre 2002 della rivista ufficiale dei fisiatri statunitensi, un articolo di commento [Strasser, Solomon & Burton] dichiara l’urgenza che i fisiatri e gli altri professionisti della riabilitazione tengano conto dei bisogni delle persone anziane nelle rispettive attività. Risponde la società scientifica geriatrica statunitense (American Geriatrics Society), riportando sullo stesso numero della rivista l’accordo preso al riguardo con una serie di società scientifiche mediche e chirurgiche. Tornando alla nostra esperienza, suonano preziose le parole scritte da Antonio Guaita per l’intervento “Medicina della complessità, evoluzione dei bisogni e delle risposte in ambito geriatrico” nel volumetto “Le voci della cura”, con il quale la ASP Golgi Redaelli ha celebrato i 50 anni della propria dedicazione geriatrica. Tra i “5 segreti” gerontologici “svelati”, 3 sono qui particolarmente rilevanti:

 

I. “Le malattie non sono come ce le aspettiamo” a significare la apparente aspecificità di presentazione dei quadri clinici geriatrici che, in realtà, rimanda ad una complessa interazione fisiopatologica tra parti e tutto, propria della gerontologia clinica. Al riguardo, va segnalato un eccellente editoriale sul numero di Lancet del 5 maggio corrente [Searle & Rockwood, 2018], un condensato di gerontologia clinica, che rimanda ad un articolo originale dove viene presentato un uso rilevante delle cartelle elettroniche, che sfrutta in modo intelligente persino le schede di dimissione ospedaliera (SDO).

 

II. “La disabilità è sintomo e segno di una serie di patologie, non ne è la conseguenza.” Riporto per chiarezza uno stralcio quasi completo dal paragrafo: “La riabilitazione degli anziani non si occupa più di sequele invalidanti … La perdita funzionale è il segno di una o più patologie che persistono e condizionano l’autonomia. Il trattamento delle patologie concomitanti, spesso squilibri di condizioni croniche, è fondamentale, per cui la cura clinica è importante quanto l’intervento riabilitativo per il recupero delle funzioni. Allo stesso modo molti miglioramenti clinici sarebbero impossibili senza interventi di stimolo alla ripresa delle funzioni quotidiane.”

 

III. “Il miglioramento funzionale non garantisce il recupero dell’autonomia né il ritorno al proprio ambiente di vita”. Letteralmente: “Alla capacità funzionale recuperata deve accompagnarsi il recupero della motivazione e un ambiente capace di accoglienza.” Nel paragrafo si confrontano tornare a camminare/a vivere, coinvolgendo le famiglie ad allearsi coi professionisti della cura per ricostruire come e quanto possibile tragitti di vita che sono stati interrotti o sono deragliati.

 

Infine, lo specchietto riportato indica un tentativo personale di sintetizzare attraverso paradigmi 3 visioni epistemologiche fondanti la gerontologia clinica, con rilevanza riabilitativa.

Box 1. Paradigmi in Gerontologia Clinica

*Colombo  et al, [2004] .

 

Conclusioni

Per chiudere, rimando alla “cultura etica e civile” sottesa alla riabilitazione geriatrica, tornando al punto di partenza, per citare nuovamente Bellelli e Trabucchi: “Quindi la riabilitazione geriatrica è la scienza e l’arte di chi sa usare la pazienza, di chi sa utilizzare tutte le dinamiche per il fine della cura, di chi non si accontenta, ma allo stesso tempo sa farsi guidare da cultura ed esperienza che dettano tempi e modi”.

 

Ringraziamenti

Un ringraziamento a tutti i Colleghi, di ogni età e professione, con cui ho potuto condividere l’esperienza di una vita di lavoro.

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