1 Settembre 2011 | Servizi

Qualità della vita o qualità della cura?

Qualità della vita o qualità della cura?

Non andiamo alla ricerca dell’uomo, pseudo vincitore sulle difficoltà della vita grazie al successo, ma cerchiamo di ridurre la fatica di vivere dell’uomo vecchio

Marco Trabucchi

 

Introduzione

La gestione dei pazienti affetti da malattie croniche –per definizione incurabili – rappresenta il maggior capitolo di spesa dei sistemi sanitari nazionali dei Paesi industrializzati (Armstrong et al., 1999). Ciò fa riflettere sulla necessità di un cambio di paradigma, da parte del personale sanitario e amministrativo, nei confronti della presa in carico dei malati affetti da malattia cronica e dei risultati raggiungibili (Kane RL et al., 2005). L’obiettivo primario di ogni sistema sociosanitario dovrebbe essere quello di massimizzare il benessere del paziente (Lubkin e Larsen, 1990), soprattutto in quelle situazioni in cui la qualità della vita rappresenta un valore primario e, nel contempo, è particolarmente a rischio, come nei pazienti ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA).

 

Lo scopo di questo lavoro è eminentemente pratico: dimostrare, attraverso una revisione della letteratura, il valore filosofico e strategico della ricerca della qualità della vita (QDV) in RSA e la fattibilità della sua misurazione nelle persone che vi risiedono, opponendosi alla visione di uniformare il valore ermeneutico della qualità della cura rispetto alla qualità della vita. La proposta è quella di un ripensamento dell’assetto clinico assistenziale e organizzativo che si fondi sul nuovo paradigma della QDV.

 

Qualità della vita: definizione e valutazione

Il concetto di qualità della vita è difficile ed elusivo, non definibile in termini assoluti o universali ma individuale e personale: ha, cioè, un significato differente a seconda della tipologia di individuo, del particolare momento in cui quell’individuo si trova a vivere e della sua cultura di appartenenza. Esistono molteplici definizioni di qualità della vita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce come: “la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni. Riguarda quindi un concetto ad ampio spettro, che è modificabile in maniera complessa dalla percezione della propria salute fisica e psicologico-emotiva, dal livello di indipendenza, dalle relazioni sociali e dall’interazione con il proprio specifico contesto ambientale”.

 

In un’ottica prettamente quantitativa, il concetto di qualità della vita è multidimensionale e costituito da almeno 4 macrocomponenti: fisica, psicosociale, spirituale e culturale. Da ognuna di queste componenti emerge in maniera determinante la lettura che il soggetto fa della propria condizione, a dimostrazione del fatto che soltanto l’individuo può giudicare il significato e il valore della qualità della vita (esempio del response shift theory) (Schwartz et al., 2007). Da qui, la considerazione che la visione del paziente costituisca l’unico e insostituibile gold standard valutativo. La misurazione quantitativa della qualità della vita avviene mediante l’impiego dei numerosi questionari disponibili in letteratura, che possono essere generali (cioè attinenti alla globalità dell’esistenza con le sue componenti di salute, sociali e psicologiche) o salute-correlati, specifici per malattia o generici (non specifici per malattia) (Apolone et al., 1997), dei quali l’SF36 è uno dei più conosciuti.

 

Il concetto di benessere nelle persone anziane ricoverate in RSA

Revisioni critiche dell’applicabilità degli strumenti di misurazione alla popolazione anziana “relativamente sana”, e sul territorio, hanno sottolineato alcune criticità, soprattutto per la grande dipendenza nella creazione del costrutto di una valutazione delle capacità funzionali (dando per scontato che l’indipendenza sia un presupposto della qualità della vita), per il problema dell’effetto ceiling e floor di diverse scale (cioè la compressione di tutti disabili nella parte zero della scala oppure di tutti i soggetti ad alta funzione nella parte più alta) e per l’applicabilità a persone con deficit di comunicazione o cognitivi (Power et al., 2005). I problemi identificati nell’applicabilità di queste scale, e quindi il loro utilizzo per le persone anziane, diventa ancora più importante per quelle ricoverate nelle RSA (Kane, 2002), dove la tipologia dei pazienti e la gravità della disabilità e delle situazioni ne rende ancora più complicata l’applicabilità e il senso.

 

Le RSA sono per definizione luoghi in cui si concentrano l’elevata prevalenza di deterioramento cognitivo e di grave dipendenza funzionale; la condivisione di spazi comuni e la difficoltà di privacy ambientale; la scarsa interazione o uscita all’esterno; la difficoltà di operare scelte, e di controllo per la propria vita e per le autonomie residue. Queste ultime tre caratteristiche, in particolare, definiscono l’istituzione totale (Degenholtz, 2010). È proprio in queste istituzioni –nelle quali le persone anziane trascorrono lunghi periodi di tempo, spesso fino al decesso o in condizioni di malattia avanzata, a volte di perdita di individualità, di tempo (passato, presente e futuro) e di significato – che il concetto di qualità della vita e di benessere dovrebbe servire da chiave di lettura per dirigere l’intervento socio-assistenziale.

 

Ed è in particolare nelle condizioni più difficili, quelle incurabili o terminali, che il benessere della persona assume il massimo valore e conferisce il senso dell’intervento e della vita, avvalendosi di azioni “piccole e quotidiane” quali fare le cose, e nel modo più gradito, chiudere il cerchio della propria esistenza, percepire e trovare piacere dalle stimolazioni e dalle situazioni ambientali. In tale approccio, peraltro, si può ritrovare il significato più profondo della geriatria: il non perdersi in ciò che manca ed è venuto meno, ma il ricercare ciò che è rimasto, ciò che di significativo può essere potenziato, pur in presenza della malattia e della disabilità (Guaita, 2005).

 

Qualità della vita o qualità della cura in RSA

Il risultato di benessere e di qualità della vita della persona ricoverata in RSA dovrebbe essere l’obiettivo primario del prendersi cura della persona, l’outcome sul quale giudicare l’organizzazione nel suo complesso, dagli aspetti strutturali a quelli di cura e relazionali. Viceversa, oggi la riforma e la riorganizzazione delle RSA si muovono secondo il paradigma della qualità della cura, confondendo in tal modo il processo con il risultato. Questo parametro è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire la qualità della vita. Sebbene sia (e sia stato) urgente riformare il processo di cura, tale obiettivo non può esaurire tutte le energie e le spinte al cambiamento.

 

L’attuale necessità di potenziare, oltre alla qualità di cura, anche quella di vita (il contenuto oltre che l’involucro), è dimostrata anche dal fatto che l’ultima revisione del sistema di controllo statunitense delle RSA –il minimum data set(MDS revisione 3, ottobre 2010) – ha inserito numerose domande e valutazioni dirette a esplorare gli elementi della qualità di vita dei pazienti ricoverati in strutture protette (Center for Medicare & Medicaid services, 2010). La stessa Società Italiana di Geriatria, nelle sue linee guida per le RSA, accanto alla definizione di residenza sanitaria assistenziale, fa un preciso riferimento a questi concetti quando afferma che: “quello che davvero interessa è che vi sia una corrispondenza fra il bisogno (espresso o no) e la risposta. Per questo un percorso di qualità e di accreditamento si differenzia dalla semplice valutazione di quello che si fa e dovrebbe arrivare a misurare anche ‘come’ lo si fa e quale sia la percezione di chi riceve il servizio” (Guaita, 2005).

 

Gli ambiti della qualità della vita

Definita la necessità ineludibile di valutare la qualità della vita in RSA, è necessario dotarsi di strumenti per rendere applicativo il concetto filosofico e misurare l’efficacia dell’intervento (Kane RL et al., 2005). La valutazione prevede che i risultati vengano definiti dalla modificazione dello stato di salute del soggetto, dipendenti o controllabili dall’intervento (Trabucchi, 2000).

 

I primi lavori sulla definizione degli ambiti e dei questionari applicativi di qualità della vita in RSA risalgono a Rosalin Kane (Kane RA, 2002; Kane RA et al., 2003; Kane RL, 2003) e si basano sul concetto che, essendo questa un costrutto soggettivo che dipende dalla percezione e dall’interpretazione del soggetto, il resoconto del residente sulla qualità della sua vita deve essere ricercato e usato ogni qualvolta ciò sia possibile. Il dialogo con il soggetto ricoverato e la ricerca della “sua voce” rappresentano, inoltre, il processo o l’outcome dell’intervento: ad esempio, possono costituire un buon modello/metodo per individualizzare l’assistenza.

 

Il ricercare direttamente e sistematicamente la voce del paziente relativa alla propria vita, al proprio benessere e gli strumenti per raggiungerla è uno strumento/percorso/fine in grado di condurre, o quantomeno avvicinare, proprio al risultato desiderato. Come già anticipato, esiste un consenso in letteratura secondo il quale il concetto di qualità della vita è multidimensionale e costituito da ambiti che comprendono –pur non esaurendoli – la salute fisica, le capacità funzionali, la salute emozionale, le capacità cognitive, le capacità di ruolo, la produttività nel lavoro, la funzione sessuale e la soddisfazione di vita. Tale concetto deve essere tuttavia modificato ed adattato a situazioni come quelle di anziani ricoverati in RSA.

 

Lo studio di Rosalin Kate

Ogni valutazione, per definizione, è riduzionista, e il rischio sempre presente è quello sia di perdere il senso dell’insieme (l’insieme degli ambiti è più della loro somma), sia di dovere fare delle scelte limitanti (Kane RA et al., 2003). Pur con questi limiti e difficoltà, Rosalin Kane ha definito 11 ambiti della qualità della vita per le persone ricoverate in RSA (Kane RA et al., 2003), che collettivamente potrebbero fornirne una sintesi: autonomia, individualità, dignità, privacy, divertimento/piacere, attività significativa, relazione, sicurezza, confort, benessere psicologico e com
petenza funzionale (Tab. 1).

Definizione degli ambiti della qualità della vita per le persone anziane ricoverate in RSA.
Tabella 1 – Definizione degli ambiti della qualità della vita per le persone anziane ricoverate in RSA.

Da questi ambiti è stato elaborato un questionario composto da 54 item (disponibile non validato per la popolazione italiana sul sito www.grg-bs.it -letteratura -riviste) validato per la popolazione statunitense in due studi successivi (Kane RL, 2003) su indicazione dei Centers for Medicare & Medicaid Services. La ricerca, della durata di 5 anni, è stata organizzata in due fasi di raccolta dati: la prima, nel 2000, è stata condotta in 40 strutture in cinque Stati degli USA su un campione di 1.988 residenti, e ha valutato le proprietà psicometriche delle scale e la capacità di risposta di persone con deficit cognitivo o malattie fisiche; la seconda, nel 2001, ha coinvolto 50 strutture in cinque Stati su 1.680 residenti con l’obiettivo di confermare le proprietà psicometriche, esaminare i fattori individuali e di struttura e i fattori associati, valutare un protocollo osservazionale diretto di conferma e un protocollo di valutazione delle caratteristiche ambientali della struttura e la sua associazione con la qualità della vita.

 

Principali risultati dello studio

Percentuale di risposta: ha risposto al questionario il 60% dei pazienti. Pur essendo l’età avanzata, la dipendenza funzionale, il deficit cognitivo e la lunghezza del ricovero tutti elementi significativamente correlati a una minore probabilità di essere in grado di completare il questionario, occorre sottolineare che il 24% dei residenti con tali limitazioni (che corrispondono al 44% dei soggetti totali esaminati nello studio) è stato in grado di completare il questionario. Il deficit cognitivo è dunque una criticità, ma non rappresenta un ostacolo assoluto e non “chiude sempre la parola e la scelta” (Mozley et al., 1999).

 

Affidabilità: la maggior parte degli item del questionario ha ottenuto un coefficiente di affidabilità superiore al valore critico di 7 (misurato con test statistico alfa Chronbach). Validità del costrutto: è stata ottenuta una conferma della validità del costrutto mediante una valutazione statistica della regressione dei singoli item nei confronti di una misura complessiva indipendente, cioè la valutazione della vita nella sua interezza da parte della persona.

 

Un’altra conferma della validità del costrutto è stata ottenuta grazie alla dimostrazione della correlazione con due altri aspetti, diversi ma associati e non ridondanti, cioè il benessere emozionale e la soddisfazione. I coefficienti di correlazione sono tutti significativi da un punto di vista statistico, ma il modello suggerisce che la valutazione delle emozioni e della soddisfazione sono sufficientemente differenti da quello delle scale di qualità della vita da poter sottendere paradigmi diversi.

 

Proxi e Staff come sostitutivi

La qualità della vita è un fenomeno individuale e soggettivo e pertanto la persona che vive la propria vita è sicuramente la migliore sorgente di informazioni e di valutazione. D’altra parte, lo studio della qualità della vita in una casa di riposo subisce il problema delle limitazioni legate al deficit cognitivo o alle capacità comunicative. L’utilizzo esclusivo dell’intervista diretta escluderebbe un numero significativo di residenti che, proprio per le loro particolari condizioni di vita e di malattia, sono più a rischio di non poter essere ascoltati, capiti e seguiti e quindi di avere una bassa qualità di vita. Per questa tipologia di paziente i familiari ed i sanitari accudenti sono regolarmente utilizzati come proxy attendibili negli studi sulla valutazione della salute e delle capacità funzionali.

 

Nella ricerca di Rosalin Kane è stato quindi somministrato un questionario ai familiari e al personale dello staff assistenziale e le risposte sono state confrontate con quelle fornite dal residente (utilizzando test non parametrici ANOVA). Pur essendo il risultato significativo da un punto di vista statistico per entrambe le correlazioni, il valore di correlazione non è molto alto. In sintesi, sebbene esso dipenda dal tipo di item esplorato, il livello di varianza spiegata è molto basso (dal 7-8% al 23 %). Ne consegue che occorre essere molto cauti nell’utilizzare valutazioni sostitutive del giudizio del residente.

 

Pattern di qualità della vita tra diverse RSA

Una domanda essenziale è definire se e quali caratteristiche strutturali (di composizione e organizzazione del personale e di struttura degli spazi) a livello delle istituzioni possano essere associate a una migliore o peggiore qualità della vita in vari ambiti, e se sia possibile distinguere le varie RSA in base alla qualità della vita che i propri residenti tendono a riferire. Ciò avrebbe un significato da un punto di vista sia della programmazione sanitaria sia della singola struttura. Le case di riposo differiscono da altre istituzioni o programmi di assistenza per il fatto che per molti anziani esse rappresentano il luogo di residenza per un lungo periodo di tempo. È ragionevole pertanto presumere che la struttura abbia la capacità potenziale di influenzare la vita di chi vi risiede.

 

Tale capacità è ancora controversa in quanto risente di altri fattori sociali che sono al di fuori del controllo diretto della struttura (ad es., la disponibilità e la composizione della famiglia, la qualità delle relazioni familiari, gli interessi, l’educazione e la personalità del ricoverato) o dalle caratteristiche di salute e di instabilità del soggetto (ad es., lo stato di salute, la prognosi, le capacità funzionali e sensoriali, la presenza di dolore o di malattie depressive e le capacità cognitive). D’altra parte, è ipotizzabile che la casa di riposo sia in grado di influenzare in maniera diretta alcuni di questi mediatori di qualità della vita, ad esempio attraverso la flessibilità di ingresso dei familiari, la variazione degli orari dei pasti o la revisione delle regole dell’istituzione.

 

Con quest’ottica sono stati analizzati i dati nell’indagine di Rosalin Kane: le variabili dipendenti erano costituite dai componenti della qualità della vita sintetizzati in un unico valore, mentre le variabili indipendenti erano rappresentate dai fattori strutturali. Il valore sintetico di qualità della vita per le diverse strutture era estremamente variabile, con una deviazione standard elevata, a conferma della possibilità di differenziare le RSA in base non solo alla qualità della cura ma anche alla qualità della vita. La varianza spiegata è risultata tuttavia molto bassa (circa il 7%) e si riduceva ulteriormente introducendo covariate e case mix, con una netta prevalenza di componenti individuali. Un dato che, in una visione come quella geriatrica dove ciò che conta è la modificabilità di fronte all’ineluttabile, può assumere un valore fondamentale per la vita della singola persona.

 

Correlazione con gli indicatori esterni

Sono stati utilizzati due indicatori esterni per la conferma del costrutto: l’MDS e l’Online Survey and Certification Automated Record (OSCAR). Per quanto riguarda la correlazione tra la qualità della vita e gli eventi sentinella/indice i reperti sono misti; esiste una correlazione negativa con i seguenti eventi sentinella: depressione senza terapia, incontinenza senza un piano terapeutico, perdita di peso, declino delle attività della vita quotidiana, uso di farmaci ansiolitici e ipnotici, uso di contenzione e scarsa attività. In altre situazioni la presenza di eventi sentinella è associata a una migliore qualità della vita, ad esempio l’incidenza di fratture, di cadute e di disturbi comportamentali, la polifarmacologia, l’incontinenza e la disidratazione. Per quanto riguarda la correlazione tra la qualità della vita e i dati amministrativi si è osservata una scarsa correlazione tra il personale e la qualità della vita: nessuna correlazione con la quantità del personale presente; l’unica correlazione positiva evidenziata è quella con il personale dedicato ad attività ludico/ricreative.

 

Le prospettive future

Questa revisione bibliografica fa emergere in noi operatori sanitari –costantemente impegnati sul fronte della gestione ottimale del paziente geriatrico ricoverato in struttura – conferme, dubbi e interrogativi su quanto è stato finora compiuto e su quanto resti ancora da fare.

 

Filosofia di cura. Dal lavoro di Rosalin Kane derivano esempi paradigmatici di come gli interventi e la loro valutazione possano essere profondamente modificati qualora la qualità della vita sia presa come elemento di riferimento e chiave di lettura. Possono emergere ad esempio considerazioni contro-intuitive: se la qualità della vita è correlata positivamente a eventi “sentinella” di qualità di cura, come le cadute e l’incontinenza urinaria, una possibile lettura “comprensibile” dalla parte del ricoverato è che la libertà di muoversi correla positivamente con la qualità della vita, anche quando tale libertà comporti il rischio di cadere e di fratturarsi. Spesso le priorità di sicurezza della struttura hanno un costo rilevante in termini di limitazione della libertà e della mobilità della persona (Oliver et al., 2000). Dalla valutazione della qualità della vita può allora derivare la pianificazione di un intervento assistenziale individualizzato centrato sulle scelte effettive, sulla storia e sul benessere del ricoverato. Ciò richiede certamente un cambio di prospettiva e di paradigma, che implica una maggiore flessibilità nell’organizzazione delle RSA e un diverso e più duttile utilizzo delle energie e delle risorse.

 

Pur essendo forse difficile da accettare per chi ha una visione rigida e burocratica della qualità della cura (anche in buona fede), tale cambiamento di prospettiva rappresenta a nostro parere un movimento verso la dignità, la democrazia, l’individualità e la libertà del ricoverato (con i suoi limiti), costituendo un prevalere della priorità dell’individuo e delle sue scelte sull’organizzazione e sulla struttura. È importante sottolineare che tale cambiamento di sensibilità e di priorità non implica necessariamente un aumento di costi o una dispersione di risorse. Esperienze in questa direzione sono comparse in letteratura in maniera non consapevole nel movimento del culture change revolution (White-Chu et al., 2009). Specifico e consapevole è, invece, un lavoro ancora in fase sperimentale (è apparso per ora solo in rete) coordinato da Neil Resnick dell’Università di Pittsburgh, negli Stati Uniti (Degenholtz, 2010). In questo studio, ambientato in RSA, il punto di partenza è la rilevazione delle risposte del questionario di qualità della vita attraverso una metodologia esplicita e standardizzata; ne derivano un approfondimento delle priorità del soggetto e la proposta di un piano di cura individuale che viene specificamente implementato (attraverso anche l’utilizzo di mezzi informatici di richiamo).

 

I risultati, seppur preliminari, e ancora contraddittori (ma questo sembra essere una costante quando ci si occupi di individui, di personali esigenze), sono favorevoli sia per i ricoverati sia per i lavoratori (in termini di soddisfazione, efficienza e motivazione professionale). Lo studio introduce dunque un altro beneficio/stimolo all’occuparsi della qualità della vita: non ci può essere benessere del ricoverato senza che ci si occupi della qualità di vita di chi assiste. Una bassa qualità di vita del personale di assistenza conduce infatti a una bassa qualità di vita del ricoverato: il contenitore organizzativo del lavoro della RSA deve tenere conto del cambio di paradigma e sensibilità.

 

Organizzazione della struttura. Come già è stato detto, l’utilizzo della qualità della vita come faro dell’assistenza comporta una riorganizzazione flessibile della struttura, nuove priorità, una diversa valutazione dell’efficacia e dell’efficienza degli interventi. A esempio di ciò esistono esperienze sul campo di dimostrata efficacia per il potenziamentodelle scelte e dei desideri dei ricoverati, come le più avanzate unità Alzheimer o gli ambienti protesici (Guaita e Jones, 2011).

 

Riflessioni conclusive

Sono senza dubbio molte le difficoltà teoriche e pratiche che si contrappongono all’applicazione del modello delineato da questa revisione (Kane RA, 2002), e tale modello non costituisce certo la panacea alla sofferenza, all’isolamento, alla solitudine, alla vecchiaia o alla malattia. Ma se la qualità della vita e il benessere del ricoverato rappresentano l’obiettivo e l’outcome primario delle RSA (quale sarebbe altrimenti il senso della loro esistenza?), riteniamo che questi due parametri debbano essere misurati e debbano condizionare le scelte successive. Il campo è, per fortuna, ancora aperto: il miglioramento del processo di cura e la sensibilità al problema hanno permesso di arrivare a un momento –quello attuale –in cui è la qualità della vita l’obiettivo più necessario e urgente e non altre drammatiche situazioni di maltrattamento.

 

È, tuttavia, un campo inesplorato e contrastato da ragioni di natura pratica, amministrativa, economica e culturale, dove la barriera forse più difficile da superare è quella che pone i bisogni del singolo in posizione secondaria rispetto all’efficienza/efficacia di cura, nella quale il contenitore ha spesso la meglio sul contenuto e il processo è più importante del risultato dell’intervento.

 

A partire da riflessioni preliminari su quello che è un percorso ancora difficile e impervio ma, allo stesso tempo, ricco e soddisfacente, la nostra proposta concreta di lavoro è quella della validazione italiana di una scala di valutazione della qualità della vita in RSA, con la quale misurare l’efficacia e l’efficienza degli interventi. Per fare ciò siamo aperti alla collaborazione con gruppi di lavoro che condividano il nostro stesso interesse, nella convinzione che –come spesso accade –anche quando il traguardo appare irraggiungibile, l’inizio di percorso è già un passo avanti in direzione del risultato.

Per aderire al progetto: paganimarco@fastwebnet.it

Bibliografia

Apolone G, Mosconi P. Ware JE. Questionario sullo stato di salute SF36. Guerini ed associate, 1997.
Armstrong GL, Conn LA, Pinner RW. Trend in infectious disease Mortality in the United States During the 20th Century. JAMA 1999;281(1):616.

Center for Medicare & Medicaid services. Long term care facility Resident Assessment Instrument (RAI), 2010. Degenholtz H. Improving quality of life in Nursing Homes through the use of structured resident interviews. National Stakeholders briefing. August 2010 www.improvingqol.pitt.edu.

Guaita A, Jones M. “Prosthetic” approach for individuals with dementia? JAMA 2011;305(4):402-3. Guaita A. Linee guida della SIGG per le RSA, 2005.

Kane RA. Definitions, measurement and correlates of quality of life in Nursing Home: Toward a Resonable Practice, Research and policy Agenda. The Gerontologist 2002;43:28-36.

Kane RA, Kling KC, Bershadsky B, Kane RL, Giles K, Degenholtz HB, Liu J, Cutler LJ. Quality of life measures for nursing home residents. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2003;58(3):240-8.

Kane RL. Measures Indicators and Improvement of Quality in Nursing Home, 2003. Kane RL, Priester R, Totten AM. Meeting the challenge of Chronic illness. The Johns Hopkins University press, Baltimore 2005.

Lubkin IM, Larsen PD. Chronic illness impact and intervention. Jones and Bartlett Publishers, 1990.

Mozley CG, Huxley, Sutcliffe C, Bagley H, Burns A, Challis D, Cordingley L. Not knowing where I am doesn’t mean I don’t know what I like: cognitive impairment and quality of life in elderly people. Int J Psychiatry 1999;14:776-83.

Oliver D, Hopper A, Seed P. Do Hospital fall prevention program work? A systematic review. JAGS 2000;48:1679-89.

Power M, Quinn K, Schmidt S. Development of the WHOQOL-OLD module. Quality of life Research 2005;14(10):2197-214.

Schwartz CE, Andresen EM, Nosek MA, Krahn GL. Response shift theory: important implications for misuring quality of life in people with disability. Arch Phys Med Rehab 2007;88:529-36.

Trabucchi M. La misura oggettiva dei risultati come metro di valutazione dei servizi alla persona: l’esempio della geriatria. La promozione della salute, ISU, 2000.

White-Chu EF, Graves WJ, Godfrey SM, Bonner A, Sloane P. Beyond the medical model: The culture change revolution in long term care. J Am Med Dir As 2009;10:370-8.

 

Bibliografia consigliata

Andresen E. Limitations of the SF36 in a sample of nursing home residents. Age Ageing 1999;28:562-6.

Kane RA. Everyday matters in the lives of Nursing Home residents: Wish for and perception of choice and control. JAGS 1993;45:1086-93.

P.I. 00777910159 - © Copyright I luoghi della cura online - Preferenze sulla privacy - Privacy Policy - Cookie Policy

Realizzato da: LO Studio