Aiutare le famiglie a gestire gli impegni di cura, facendo in modo che la persona non autosufficiente possa rimanere nel proprio contesto di vita, rappresenta uno degli obiettivi di salute sollecitato da governi ed agenzie, nazionali ed internazionali e, soprattutto, costituisce il principale impegno a cui sono chiamati oggi i sistemi di cura territoriali. Nasce da questa sfida l’esperienza realizzata nel distretto socio sanitario di Catanzaro con il progetto sperimentale denominato Home Care Premium.
Al centro del desiderio: la cura a domicilio degli anziani non autosufficienti
La sollecitazione ad alimentare l’azione ri-generatrice di nuovi e più efficaci modelli di cura non può essere solo costituita da aspetti di tipo economico e finanziario, conti da far quadrare e buchi da sanare, motivazioni comunque presenti e pressanti. Il processo di adeguamento dell’offerta dei servizi di cura deve puntare a dare una risposta coerente ad un bisogno crescente: rispettare il desiderio delle persone non autosufficienti di rimanere nella propria casa, anche in condizione di non autosufficienza.
La stragrande maggioranza degli anziani1 individua, nella propria casa, il luogo elettivo dove fruire di prestazioni di cura. Anche in condizioni di limitata autonomia, se non addirittura in condizioni di completa non autosufficienza, il desiderio dell’anziano è di restare ancorato al proprio letto fino all’ultimo dei suoi giorni. Il forte legame espresso nei confronti della propria casa travalica il naturale bisogno di riparo e sicurezza, per affondare su temi più profondi ed altamente simbolici. La casa, per i nostri anziani, è qualcosa di molto di più di un’abitazione. E’ espressione diretta dell’identità e della storia delle singole persone che vi abitano e da cui esse traggono linfa e forza vitale. Per tali ragioni, la centralità del domicilio come setting auspicato di cura, deve necessariamente portare a ripensare al come prendersi cura delle persone, portatrici di criticità e fragilità, ma anche detentori di conoscenze e abilità.
Innanzitutto, al contrario di quanto avviene in un contesto ospedaliero o nella maggior parte delle strutture socio-sanitarie di tipo residenziale, la persona, anche se non autosufficiente, al domicilio può e deve poter essere messa nelle condizioni di co-produrre i servizi necessari al suo benessere. L’approccio di quanti operano a domicilio deve essere orientato a promuovere l’empowerment dell’assistito e dei caregiver affinché essi, acquisendo una profonda conoscenza e consapevolezza di sé e dei bisogni di salute da soddisfare, dei propri saperi e delle proprie competenze, possano assumere un ruolo attivo nella gestione dei compiti previsti dal Piano Assistenziale Individuale (PAI).
Il progetto sperimentale denominato Home Care Premium, cofinanziato dall’Inpdap/Inps, ha dato l’opportunità di rafforzare la diffusione di un nuovo approccio di cura a domicilio di persone non autosufficienti. Il progetto Home Care Premium ha riconosciuto ai suoi beneficiari un contributo mensile, determinato in base ai valori ISEE e alle condizioni di non autosufficienza, utilizzabile per l’assunzione di una figura di cura domiciliare. La formazione e la valorizzazione di questa figura è stato uno dei primi impegni che ha visto coinvolto il distretto sociosanitario di Catanzaro.
Una scelta di campo: investire in Formazione-Conoscenza-Proattività
Come cambia il profilo professionale di un operatore chiamato a svolgere il suo lavoro all’interno di un setting di cura particolare come quello della casa del beneficiario? A questa domanda non corrisponde una risposta pronta ed unica; la sfida è stata, per noi, di scoprire e condividere la risposta partendo dall’analisi dell’esperienza. In tal senso, un ruolo strategico è stato occupato dalla Formazione, dalla costante attenzione nella produzione e condivisione delle conoscenze prodotte dal progetto e dal confronto con altre esperienze similari.
Abbiamo promosso un corso di 70 ore per la formazione dell’Assistente Familiare. La denominazione “Assistente Familiare” non è stata casuale in quanto abbiamo inteso riservare una specifica attenzione alla complessità di un profilo professionale chiamato a compiti diversi, da quelli della semplice custodia a quelli della pulizia personale e della casa. La delicatezza e l’unicità della cura rivolta a persone con caratteristiche e storie personali irripetibili, con vissuti emotivi ed energie interiori spesso inesplorate, descrive uno scenario articolato in cui l’agire professionale, almeno in parte, è ancora da costruire e sperimentare. Si è scelto pertanto di realizzare un percorso teorico-pratico in cui i docenti sono stati individuati tra i dirigenti/responsabili dei servizi dell’ASP di Catanzaro in grado di assicurare la giusta sintesi tra investimento in nuove conoscenze ed esperienza diretta sul campo, maturata nelle diverse unità didattiche2.
A seguire, attraverso un apposito regolamento, è stato creato un registro distrettuale delle figure di cura, disponibile on-line per le esigenze di cura domiciliare del territorio. Proattività e creatività sono state alcune delle parole chiave per stimolare negli operatori l’atteggiamento mentale necessario per raggiungere gli scopi previsti dai singoli piani di cura. Le professioni di cura come l’assistente familiare, l’OSS ed altre figure professionali, chiamate ad integrarsi per consentire l‘attuazione dei PAI, non possono essere ricondotte ad insieme di azioni standardizzate e replicabili in maniera uniforme. Lavorare a diretto contatto con le persone, con le loro individualità e le loro potenzialità, significa mettere in gioco le risorse emotive e relazionali volte ad attivare e potenziare le capacita/abilità della persona in cura e del suo caregiver.
Il lavoro di cura domiciliare si inserisce a pieno titolo in quel variegato settore, particolarmente sviluppato nelle società post-industriali, denominato terziario e/o dei servizi. Più precisamente, vista la vastità e varietà dei servizi fruibili dai cittadini, le attività di cura rientrano nel sottoambito denominato servizi alla persona. L’elemento distintivo di quanti operano nel mondo dei servizi alla persona consiste proprio nella centralità delle “relazioni con le persone” fruitrici delle prestazioni erogate. La relazione quindi, strumento centrale del processo di cura è, prima di ogni cosa, scoperta di significati racchiusi nell’esperienza della relazione stessa. Relazione come via per riuscire a incontrare l’altro come storia, rinunciando a catalogarlo dentro categorie legate alla patologia.
Abbiamo puntato molto su un’idea di lavoro, tipico delle società post-industriali, in cui il focus è stato l’apprendimento continuo e la creatività ed in cui le figure professionali impiegate sono stati produttrici ed utilizzatrici di nuova conoscenza, aperte al confronto con il gruppo e promotori di problem solving. Gli strumenti utilizzati per la condivisione di questo pensiero e di questa metodologia di lavoro sono stati gli eventi di formazione e di aggiornamento, la co-progettazione do nuove iniziative di partecipazione/relazione delle persone beneficiarie e la sperimentazione di strumenti di valutazione e monitoraggio del PAI. Gli esisti sono stati sorprendenti ed il percorso dell’avere cura ha avuto modo di arricchirsi di opportunità, inizialmente non previste, per i singoli beneficiari e per le comunità.
Il ruolo attivo della famiglia
Per raggiungere l’obiettivo di un potenziamento e di una valorizzazione delle risorse, presenti nel contesto domiciliare, sono stati realizzati alcuni strumenti informativi che hanno avuto lo scopo di avvicinarsi alle famiglie evitando, ad esempio, di utilizzare terminologie spesso incomprensibili, se non per gli addetti al settore, e volte a favorire un processo di responsabilizzazione e coinvolgimento del caregiver all’elaborazione, gestione e valutazione del PAI. Rientrano in quest’area:
- la sperimentazione di Vademecum per le famiglie, contenente una serie di informazioni ed indicazioni in merito all’utilizzo dei servizi domiciliari e alle incombenze derivanti;
- la Scheda per un PAI condiviso, mediante l’uso di uno strumento appositamente creato, in cui gli stessi termini utilizzati sono stati frutto di una partecipazione dei caregiver. Il PAI rappresenta lo strumento base per la gestione del piano di cura personalizzato. Attraverso il monitoraggio del PAI si è avuta l’opportunità di curare anche il rapporto di crescita di competenze da parte dei caregiver.
L’ impegno della Comunità
Il contesto in cui è stata realizzata la sperimentazione si caratterizza per la presenza di paesi di piccole dimensioni, in prevalenza ubicati in aree interne, in cui l’offerta di servizi socioassistenziali risulta praticamente inesistente. Ciò ha comportato, per l’azienda sanitaria, un lavoro propedeutico svolto nei singoli comuni coinvolti, volto a “familiarizzare” i cittadini con le opportunità offerte da servizi mirati di cura per le persone non autosufficienti.
I beneficiari del progetto nel periodo 2013- giugno 2019, sono stati circa 650; tutti i soggetti presentano forme medio-gravi di invalidità. L’esperienza ha confermato come il tema della non autosufficienza, viste anche le proiezioni demografiche ed i dati epidemiologici, non può più essere una problematica riguardante le persone che ne sono direttamente coinvolte. La gestione dei processi di cura coinvolge direttamente famiglie, istituzioni, comunità.
Per tali motivazioni la sperimentazione realizzata nel distretto catanzarese ha inteso investire nella comunità quale luogo in cui le persone vivono storie ed identità uniche e in cui sviluppano relazioni ed attivano collaborazioni, soprattutto sul tema della salute. Nel nostro agire la comunità ha una valenza positiva in quanto l’obiettivo di una migliore qualità di vita di una persona fragile si basa su concetti semplici ma spesso lontani dall’approccio bio-medico. Ad esempio, un elemento distintivo della sperimentazione, ha interessato un nuovo approccio rappresentato dal ruolo attivo della comunità di residenza nella creazione di spazi e condizioni affinché il tema della valorizzazione delle persone anziane e la gestione della non autosufficienza diventi un impegno “etico”, condiviso fra le generazioni e dall’intera comunità. In questa direzione sono state realizzate specifiche iniziative di informazione-coinvolgimento e responsabilizzazione come un ciclo di 12 puntate televisive, denominato “Prendiamoci Cura”. Le puntate, monotematiche, sono state trasmesse da una Tv ad ampia copertura regionale e ciò ha consentito di far conoscere ad un’ampia platea, argomenti da sempre catalogati di nicchia3. L’idea delle trasmissioni televisive si inserisce in una più ampia azione per l’empowerment della comunità, volta a dare alla popolazione locale un ruolo attivo nella progettazione e gestione delle politiche di cura e di promozione della salute.
L’azione integrata di Informazione, Sensibilizzazione e Coinvolgimento dei cittadini, ha permesso di valorizzare i contenuti di un’esperienza di cura in cui, pur tra tante difficoltà e penuria di opportunità, si è potuto registrare un atteggiamento di grande collaborazione delle comunità coinvolte, animata da slancio e vitalità. Sempre in questa direzione sono stati realizzati micro-progetti con il coinvolgimento delle scuole e delle associazioni presenti sul territorio, tra cui un percorso di invecchiamento attivo, strutturato con azioni di ginnastica dolce, giardinaggio di comunità e azioni con impegno cognitivo, giornate della salute, ricerche con gli studenti dei licei sulle opportunità, formative e professionali e del lavoro di cura.
I pilastri dell’esperienza Home Care Premium nell’ASP di Catanzaro
L’esperienza realizzata nel nostro contesto si è caratterizzata come occasione di sviluppo di un nuovo welfare territoriale attraverso cui sperimentare, sul campo, un nuovo modo di governare il tema della non autosufficienza. La Vision che ha guidato l’elaborazione concettuale e che ha orientato le azioni operative è stata quella di generare una nuova idea di “star bene”. Riuscire a sensibilizzare diverse centinaia di operatori, coinvolti nell’erogazione dei servizi domiciliari e, contestualmente, sollecitare l’impegno anche da parte delle comunità territoriali verso una condivisione di una diversa idea di salute – non più identificata esclusivamente con l’assenza di malattia – è stata un’operazione delicata e complessa. Cambiare paradigma con idee, valori e strumenti nuovi, ha richiesto un’evoluzione, concettuale ed organizzativa, che ha reso necessario un investimento nel concetto di capitale sociale, quale bene comune da alimentare e valorizzare.
Fin dalle fasi iniziali del progetto è stata ben chiara la necessità di dedicare una particolare attenzione alla condivisione, con le figure professionali coinvolte, di un “paradigma della cura” diverso da quello tradizionale basato sull’approccio medico-paziente-malattia. In tutte le iniziative di informazione e sensibilizzazione delle famiglie, nonché di formazione degli operatori di cura, sono state quindi ampiamente sottolineate le caratteristiche di qualità che devono contraddistinguere la cura a domicilio.
Tra i parametri di riferimento hanno trovato ampio spazio elementi quali:
- personalizzazione delle cure;
- centralità delle relazioni;
- valorizzazione delle risorse personali e familiari della persona beneficiaria;
- ruolo attivo della Comunità.
Punti fermi di questo nuovo approccio sul tema della cura della non autosufficienza sono stati:
- la centralità della persona non autosufficiente e la conseguente azione di valorizzazione delle sue capacità residue, nel rispetto dei suoi tempi e della sua storia;
- la cura nel sistema delle Relazioni come strumento privilegiato nell’instaurare un rapporto personalizzato che, attraverso l’ascolto empatico, punti a conoscere a fondo bisogni, desideri e potenzialità della persona e attivi attorno a sé relazioni fondate sulla solidarietà intergenerazionale e comunitaria. Le relazioni sono state inoltre utilizzate per sperimentare, “dal basso”, l’efficacia di piani di interventi co-prodotti (con il beneficiario, con il caregiver, ecc…) per la cura della persona non autosufficiente. Una modalità contrapposta al modello di cura dominante in cui la scena viene occupata dall’azione del “tecnico”, ritenuto l’unico competente, contrapposto all’incompetenza dei destinatari degli interventi;
- il protagonismo del Territorio nei luoghi di vita in cui la persona è inserita. L’attenzione verso la valorizzazione delle risorse e delle capacità residue di quanti vivono una condizione di fragilità psico-fisica deve trovare nella comunità un potente alleato per l’elaborazione ed attuazione di moderne strategie di prevenzione e cura (Community Care). Bisogna infatti evitare che la condizione di non autosufficienza finisca per diventare un ostacolo al mantenimento di una vita sociale della persona. In molti casi la presenza di una riduzione delle capacità psico-fisiche, anche per oggettive difficoltà derivanti dal manifestarsi della condizione di disabilità, coincide con una drastica riduzione dei contatti e dei rapporti sociali. In assenza di una qualificata azione di supporto, non è raro imbattersi in persone non autosufficienti la cui vita sociale è di fatto limitata ai rapporti ristretti nell’ambito della cerchia dei propri familiari, fino a sfociare in vere forme di isolamento sociale.
La nostra azione ha cercato di proporre un orizzonte diverso attorno al concetto di “cura”, dove la dimensione del lavoro tecnico, che nel tempo ha fatto prevalere l’idea del “prendere in carico”, viene integrata e forse anche sostituita dall’idea dell’“avere cura”. Il passaggio non è solo terminologico ma sostanziale. Nella nuova impostazione il protagonista è la persona, nell’incontro si valorizzano le potenzialità della relazione.
Welfare di cura e occupazione
Dopo l’abbandono in massa del lavoro nei settori dell’agricoltura e dell’artigianato, con la crisi del pubblico impiego e il conseguente blocco delle assunzioni, ormai vigente da circa un ventennio, le possibilità di creare occasioni di lavoro all’interno delle piccole comunità della Calabria, in particolar modo nelle aree interne, si sono praticamente azzerate. Si comprendono quindi i motivi, non solo economici ma anche sociologici, per cui il progetto di cura del distretto di Catanzaro abbia avuto l’effetto rigenerante di una fresca cascata nell’arsura del deserto. Grazie a questa esperienza giovani, meno giovani, in prevalenza donne, hanno avuto modo di lavorare nel proprio territorio e di contribuire, con il loro apporto quotidiano, ad una rivitalizzazione dei luoghi e nel dare una boccata d’ossigeno alle microeconomie locali. Ciò rappresenta un piccolo esempio di successo di politiche socio-sanitarie che si trasformano in politiche di sviluppo locale, con un forte impatto sulla coesione e sull’identità dei luoghi.
Nel corso del quinquennio (2013-2018) sono stati oltre 650 i contratti di lavoro attivati per l’erogazione delle diverse prestazioni previste. Da moderne politiche di cura si sono generate qualificate opportunità di lavoro per figure professionali diverse: Assistente Familiare; Operatore Socio Sanitario (OSS); Sociologo; Assistente Sociale; Psicologo; Educatore Professionale; Animatore. Si tratta di professioni che, pur nelle diversità dei saperi tecnici, hanno delle caratteristiche comuni: si nutrono di saperi trasversali ed utilizzano intelligenza emotiva.
Fra le competenze trasversali richieste a queste figure si segnalano:
- capacità di lavorare in gruppo;
- utilizzo delle tecniche del problem solving ed uso del pensiero creativo (individuale e di gruppo);
- capacità di comunicazione e relazione con i diversi attori del sistema;
- gestione dello stress fisico-mentale.
Le potenzialità occupazionali del settore della cura sono tali da poter generare in Italia diverse centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Il numero nasce dalla considerazione, condivisa da autorevoli studiosi delle diverse forme di cronicità e disabilità in età senile, che almeno il 20% della popolazione ultra 65enne viva una condizione tale da richiedere un supporto di cura a domicilio.
Un bisogno di cura che dovrebbe suggerire l’emanazione di norme finalizzate ad un uso mirato dell’assegno di accompagnamento. Una voce di bilancio in cui lo Stato spende circa 17 miliardi di euro all’anno, oggi totalmente slegata dall’idea di un ben identificato progetto di cura, che costituisce un sussidio economico su cui non vi sono certezze circa i benefici effettivi per la persona non autosufficiente.
In ragione dei bisogni attuali e delle possibili evoluzioni future, è ragionevole considerare il settore della cura e della domiciliarità un vero e proprio bacino di nuova occupazione, uno spazio fertile di sperimentazioni ed innovazioni, un settore lavorativo in cui possono trovare un’occupazione dignitosa figure professionali diverse. Uno spazio dove orientare, probabilmente con risultati più apprezzabili di quelli ottenuti nel corso dei decenni trascorsi, risorse pubbliche a disposizione delle regioni, in particolare del Mezzogiorno d’Italia, per creare nuova occupazione.
Verso nuove mete: la Cura, un impegno condiviso
Dal progetto Home Care Premium è scaturita, nel distretto di Catanzaro, una bella esperienza, un ricco e partecipato processo generativo di idee, conoscenze, alleanze e sperimentazioni che hanno prodotto una buona pratica nel settore della cura a domicilio della non autosufficienza, riconosciuta come tale da una specifica ricerca, condotta a livello nazionale dall’Associazione Bottega del Possibile di Torre Pellice, sostenuta dalla Compagnia di San Paolo di Torino, con la collaborazione della Fondazione Zancan di Padova.
All’interno di tale sperimentazione è stata realizzata anche una pubblicazione per dare testimonianza di quanto realizzato ma, soprattutto, per stimolare ulteriori riflessioni e progettualità in un settore in costante evoluzione e di cui questo saggio propone una sintesi.
La pubblicazione, oltre a rappresentare una traccia di un percorso, si propone quale base di idee e di conoscenza, uno spazio di riflessione da utilizzare come stimolo per successive elaborazioni e per lo sviluppo di nuove iniziative. Uno dei principali scopi assegnati a questo testo consiste proprio nel favorire una “rielaborazione collettiva”, a partire dai vissuti di quanti hanno partecipato al progetto nei diversi ruoli: beneficiari, familiari, operatori, amministratori, volontari. Tanti i temi da approfondire, le idee e le sperimentazioni da confrontare. Per questi motivi pensiamo sia utile, proseguire, anche in altri contesti territoriali, nell’azione di ricerca sui temi chiave dell’innovazione del welfare di comunità. Il cammino da fare è ancora lungo ed abbiamo il dovere di continuare nell’approccio generativo e partecipativo in modo da riuscire ad aumentare le conoscenze ed i saperi con cui provare a guardare nella stessa direzione e cogliere le opportunità del cambiamento.
Sebbene non sempre, alle buone esperienze viene data la possibilità di proseguire il loro cammino, piace pensare ad una testimonianza concreta di un welfare reso dinamico e generativo dalla freschezza delle idee che si rinnovano, alimentano e si evolvono per costruire benessere ed inclusione sociale.
Conclusioni
Le trasformazioni in atto nella struttura della popolazione, il trend crescente dell’invecchiamento, l’indebolimento delle reti familiari e la diminuzione di risorse pubbliche per le spese di cura, sono alcuni dei significativi segni di un cambiamento in atto che richiede risposte organizzative coerenti.
Le politiche di cura territoriali devono generare moderni progetti di cura, come quello qui presentato, in cui si provano a sperimentare forme nuove con cui offrire servizi integrati a casa delle persone con autonomie ridotte.
Un elemento di forza del progetto realizzato nell’ASP di Catanzaro è stato la forte determinazione nel realizzare, proprio nella regione con la quota di spesa pro-capite più bassa d’Italia nel settore dei servizi alla persona, una sperimentazione in cui la distinzione tra sociale e sanitario ha lasciato il passo ad un moderno progetto in cui si è puntato sul protagonismo dei beneficiari, delle famiglie e delle realtà locali.
Infatti, di fronte ai nuovi scenari, demografici ed epidemiologici, appare sempre più superata la dicotomia tra sociale e sanitario che ha avuto, sino ad ora, “il merito”, nella maggioranza dei casi, di complicare la vita al cittadino nel percorso di esigibilità dei suoi diritti. A causa di questa dicotomia, in molti casi, si è riusciti a trasformare il cammino del cittadino, di costruzione di sicurezza e di benessere, in un percorso ad ostacoli dove un bene comune come la salute è stato ridotto ad un prodotto di consumo, deresponsabilizzando la persona e creando forme di dipendenza.
Oggi è necessario partire proprio dai diritti da garantire al cittadino, specie quando egli si trova in una condizione di fragilità, nella convinzione che tale diritto si coniuga con consapevolezza e responsabilità, ed è su questo che si misura l’efficacia degli enti preposti a tale scopo. Se, sino ad oggi, l’approccio biomedico ha privilegiato specifici contesti (ospedale e ambulatori) e metodi (una medicina per ogni sintomo, uso del sapere esperto), oggi è obbligatorio cambiare registro.
“La salute viene realizzata dalla gente laddove vive e lavora” (Carta di Ottawa).
Il servizio sanitario, in particolare per quanto riguarda l’offerta dei servizi per le cronicità, deve puntare al potenziamento di un’offerta territoriale e domiciliare che non è solo di tipo quantitativo. Si tratta infatti di abilitare e mobilitare quelle risorse “sconosciute” rappresentate dalle capacità di auto-cura del beneficiario e/o del caregiver. Si tratta anche di dedicare rinnovate attenzioni al processo di coinvolgimento e coordinamento delle risorse della comunità quale ambiente elettivo in cui si strutturano gli stili di vita dei cittadini ed in cui si dovrebbero creare le migliori condizioni per un’influenza positiva dei determinanti di salute (istruzione, lavoro, attività fisica, relazioni e vita di comunità). Se questo è il nuovo scenario d’azione, le aziende sanitarie sono chiamate a riprogrammare le loro progettualità. I nuovi impegni di cura, per come sopra riportati, richiedono l’individuazione di servizi con figure professionali a forte caratterizzazione tecnico-professionale, nell’area della progettazione sociale e dell’organizzazione di reti e del management territoriale per un moderno welfare, capace di assicurare servizi di qualità e sviluppo locale.
Superare l’approccio standardizzato sulla base del quale, per molti anni, si sono costruiti i saperi professionali ed i comportamenti organizzativi, è stato uno degli obiettivi centrali di un progetto chiamato a realizzare un esperimento di una moderna politica di promozione della salute.
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