1 Settembre 2007 | Residenzialità

Editoriale
Perché diminuiscono gli anziani nelle strutture residenziali?

Perché diminuiscono gli anziani nelle strutture residenziali

Per la prima volta diminuisce in Italia il numero di anziani ospiti in strutture residenziali. Questo risultato emerge dai più recenti dati Istat (Istat, 2007), riferiti al 2004: alla riduzione in termini percentuali già in atto da qualche tempo, si aggiunge quella in valore assoluto, con una diminuzione di quasi 4.000 presenze tra il 2003 ed il 2004, per un valore praticamente uguale al 1999, anno in cui l’Istat ha avviato la rilevazione di questi dati (Tab.1).

Persone con almeno 65 anni ospiti in strutture residenziali 1, anni vari
Tabella 1 – Persone con almeno 65 anni ospiti in strutture residenziali, anni vari (nota)
(nota)Le informazioni raccolte dall’Istat riguardano tutte le tipologie di strutture residenziali. L’Istat suddivide le strutture per gli anziani in: “Residenza assistenziale per anziani autosufficienti”, “Residenza socio-sanitaria per anziani”,“Residenza sanitaria assistenziale (RSA)”e “Altri presidi residenziali”
Tabella 2 – Guadagno di speranza di vita attiva nella popolazione italiana negli anni e per le età indicate

In anni in cui sempre più forti sono i richiami ad incrementare l’offerta di assistenza continuativa, si tratta di un dato significativo che delinea una tendenza chiara, pur con le cautele che richiedono simili base-dati di scala nazionale. L’esperienza italiana risulta peculiare nel panorama internazionale. La percentuale di anziani in strutture residenziali, infatti, è effettivamente diminuita in Paesi dell’Ocse in cui aveva raggiunto valori ben maggiori rispetto al nostro Paese (le riduzioni non hanno mai portato altri Paesi al di sotto del 4-3,5% di utenza), ed è stata perlopiù accompagnata da forti programmi di sviluppo dell’assistenza domiciliare, come nel caso dell’Austria.

 

In Paesi tradizionalmente deboli nell’assistenza continuativa, come il nostro, la recente tendenza è stata di incremento della residenzialità, come nel caso della Spagna, passata dal 2,8% di presenze a metà anni ’90 al 3,7% nel 2004 (Oecd,2005). I dati illustrati sono in controtendenza rispetto alle indicazioni del recente documento della Commissione Nazionale Lea sulle prestazioni residenziali e semiresidenziali, di cui I Luoghi della Cura si occuperà diffusamente nel prossimo numero. La Commissione, infatti, (pur non ritenendo opportuno indicare uno standard di offerta pre-ordinato) sottolinea la necessità di incrementare l’offerta di strutture residenziali nel nostro Paese lavorando su un’ipotesi nazionale di circa il 4% di anziani in strutture residenziali (Ministero della Salute, 2007). I dati Istat ci interrogano sulle ragioni all’origine della riduzione dell’utenza: proviamo dunque a discutere qualche possibile risposta.

 

  • Per la riduzione della disabilità? È stato registrato un aumento della aspettativa di vita attiva, che in 5 anni ha portato a guadagnare 1 anno di vita attiva; ciò significa che, a parità di numero, i 75enni sono più autonomi nel 2000 che nel 1994.Tale diminuzione proporzionale dei disabili fra gli anziani è un fenomeno presente anche fuori dall’Italia – ad esempio negli USA – ed è sicuramente influenzato da una serie di fattori, fra cui la scolarità, potenzialmente capaci di agire positivamente anche negli anni a venire (Waidmann e Liu, 2000). È pur vero che sono aumentati i numeri assoluti degli ultra 75enni,e specialmente degli ultra 80enni;ma è altrettanto vero che dal 1915 al 1918 (I guerra mondiale) e tra il 1919 e il 1920 (epidemia di “spagnola”) vi è stata l’assenza dei “non nati”.

 

  • Per la carenza di offerta? Le famiglie utilizzano quello che c’è e non possono utilizzare quello che non c’è. Se vi sono servizi li utilizzano, se non ci sono si arrangiano. In buona sostanza, dunque, in quali regioni italiane ci sono residenze per anziani che vantano posti vuoti e mancanza di liste di attesa? Ci piacerebbe conoscere il dato così come conosciamo quello della Lombardia, reperibile dal sito dell’Assessorato famiglia e politiche sociali1:questa Regione che ha, da sola, tante RSA quanto il resto d’Italia, ha ridotto ma non azzerato le liste di attesa. La nostra impressione – su cui occorrerebbero adeguati sforzi di riflessione e di ricerca – è che in diverse Regioni la diminuzione dell’utenza sia dovuta in parte rilevante ad una semplice carenza di offerta, ed anche ad un problema di costi che determina che le Regioni a più alto reddito possono rendere disponibile un servizio costoso sia per la Regione che per le famiglie, mentre altre Regioni meno ricche cercano di limitare l’offerta.

 

  • Per l’efficacia dei servizi domiciliari pubblici? Il dibattito sull’efficacia delle cure domiciliari nel ridurre la domanda di residenzialità occupa da decenni il mondo della ricerca. Nei Paesi europei, infatti, il numero degli assistiti al domicilio e il numero dei ricoverati in RSA (Gori, 2001) presenta, contrariamente a ciò che ci si aspetterebbe, una correlazione lineare positiva: nei Paesi dove è maggiore uno è maggiore anche l’altro. È, inoltre, interessante vedere quanti sono i minuti medi/die che i servizi domiciliari offrono nelle varie regioni: in nessuna realtà raggiungono almeno i 60 minuti.

 

  • Per la diffusione delle assistenti familiari? Esiste un certo accordo nel ritenere che l’impetuosa diffusione delle assistenti familiari (badanti) abbia contribuito alla riduzione della domanda di istituzionalizzazione. Vi sono motivi legati alle caratteristiche del loro lavoro: possibilità di convivere e/o di coprire un elevato numero di ore nel corso della giornata, flessibilità dell’intervento e disponibilità ad operare anche durante la notte/nei fine settimana. Queste sono le tendenze degli ultimi anni, senza dimenticare i recenti cambiamenti dovuti alle aspettative di migliori condizioni di lavoro maturate dalle assistenti familiari da più anni in Italia. Vi sono ugualmente motivi di natura economica, dovuti alla minor spesa per le famiglie che sovente comporta remunerare un’assistenza familiare nel mercato irregolare rispetto a pagare una retta in strutture residenziali.

 

La discussione dovrebbe essere ben più ampia e i ragionamenti dovrebbero essere adattati alle singole Regioni ed agli specifici contesti. All’interrogativo “perché ciò accade? ”bisognerebbe affiancare “è questo il welfare che vogliamo?”. I temi su cui confrontarsi non mancano e i lettori de I Luoghi della cura hanno le competenze e le esperienze giuste per arricchire il dibattito. La rivista sarà lieta di ospitare contributi in proposito.

Note

  1. www.famiglia.regione.lombardia.it

Bibliografia

Gori C. I servizi sociali in Europa. Carocci editore, Roma 2001, p. 28.

Istat. Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari – Anno 2000, Istat, Roma 2003.

Istat. L’assistenza residenziale e socio-assistenziale in Italia, diffuso il 4 maggio 2007 (http://www.istat.it/dati/dataset/20070504_00).

Ministero della Salute. Prestazioni residenziali e semiresidenziali, documento della “Commissione Nazionale per la Definizione e l’Aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza”, Roma, 30 maggio 2007. OCSE.

Long-term care policies for older people, Parigi 2005.

Waidmann TA, Liu K. Disability trends among elderly persons and implications for the future. J Gerontol B 2000; 55: 298-307.

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