1 Giugno 2009 | Residenzialità

Studio sulla reale attendibilità della lista di attesa per l’accesso ai servizi residenziali di anziani non autosufficienti

Studio sulla reale attendibilità della lista di attesa per l’accesso ai servizi residenziali di anziani non autosufficienti

Contesto

Tra il 1° settembre 2007 e il 15 gennaio 2008, la Segreteria dell’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG) dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) 4 di Torino ha contattato anziani in lista di attesa per l’inserimento in Residenze ad alta, media e bassa intensità assistenziale, proponendo loro l’ingresso in Struttura12, ma ottenendo prevalentemente un rifiuto e una dichiarazione generica di preferenza a rimanere al domicilio. Tali anziani, al momento della presentazione della domanda di aiuto all’Unità di Valutazione Geriatrica, avevano espresso il desiderio di entrare in residenza, ma, in considerazione dei tempi della lista di attesa, agli stessi anziani era stato predisposto un progetto di Lungassistenza domiciliare attivabile in tempi molto più brevi.

 

La municipalità di Torino, con le allora quattro Aziende sanitarie locali nelle quali era suddivisa la città, in data 26 settembre 2005 ha deliberato il nuovo modello di Lungassistenza domiciliare socio-sanitario3. Tale modello, avviato il 15 maggio 2006, dopo la predisposizione di accordi operativi e procedurali tra Comune e Aziende sanitarie, ha “assorbito” e sostituito precedenti modalità di sostegno domiciliare. Il modello di welfare torinese prevede, sia per la lungassistenza domiciliare sia per l’inserimento residenziale, la contribuzione economica del Servizio Sanitario Nazionale per metà del costo del progetto e la restante parte a carico del cittadino con eventuale integrazione del Comune per anziani con redditi bassi.

 

Ipotesi di ricerca

In considerazione dell’elevato numero di rifiuti espressi all’inserimento in Residenza, si sono poste le seguenti ipotesi di ricerca:

  • a) La Lungassistenza domiciliare costituisce una valida alternativa all’inserimento in Residenze per anziani non autosufficienti, motivando il rifiuto all’offerta di inserimento in Residenza.
  • b) I rifiuti all’inserimento in Residenze riguardano prevalentemente anziani con basso bisogno assistenziale, facilmente soddisfabile dalla rete familiare o vicinale.

 

 

Modalità e strumenti di ricerca

Lo studio di tipo osservazionale retrospettivo, oltre a quantificare quanti anziani hanno accettato o rifiutato l’inserimento in Residenza, ha incrociato i dati della Segreteria UVG relativi alla lista di attesa per la Residenzialità con i dati dei Servizi Sociali delle Circoscrizioni 6° e 7° di Torino sull’attivazione di interventi di Lungassistenza domiciliare. La correlazione ha evidenziato: quanti degli anziani in lista di attesa per residenze avevano attivi aiuti di lungassistenza domiciliare, caratteristiche diversificate per sesso, età anagrafica, intensità assistenziale necessaria per compensare le disabilità, durata della lista d’attesa. Inoltre, il colloquio con l’anziano e i suoi familiari, durante la presentazione del progetto assistenziale, ha evidenziato le motivazioni dei rifiuti.

 

Risultati

Il 1° settembre 2007, gli anziani in lista di attesa per l’inserimento in Residenza, con domanda presentata in UVG tra l’agosto 2005 e l’agosto 2006, erano 276. Contattati telefonicamente nei mesi successivi, fino al 15 gennaio 2008, dei 276 anziani, 9 sono risultati emigrati in altra ASL e 92 deceduti. La lista di attesa si era quindi ridotta a 175 persone. Di questi 175 anziani, solo 43 (25%) hanno accettato l’inserimento, mentre 132 (75%) lo hanno rifiutato preferendo rimanere a casa, come riportato nella Tabella 1.

Anziani in lista di attesa per inserimento in residenza (domande presentate tra agosto 2005 e agosto 2006)
Tabella 1 – Anziani in lista di attesa per inserimento in residenza (domande presentate tra agosto 2005 e agosto 2006).

La ripartizione per sesso delle persone che hanno rifiutato l’offerta residenziale vede una prevalenza femminile (90 anziane) a fronte di 42 uomini. La loro età media era di 83 anni. Tra le 132 persone che hanno rifiutato l’inserimento, solo 34 (26%, dei quali 25 donne e 9 uomini), usufruivano di aiuti di Lungassistenza domiciliare. La percentuale degli anziani che usufruivano degli aiuti di Lungassistenza domiciliare è risultata indifferenziata tra il gruppo che ha accettato l’inserimento in residenza e il gruppo che lo ha rifiutato. La loro età media è risultata di 83 anni, non differenziata rispetto all’età di coloro che non usufruivano di aiuti. Altrettanto poco differenziata la suddivisione per genere tra anziani inseriti in residenza e coloro che non hanno accettato l’inserimento (rispettivamente 63% e 68% tra gli uomini, e 37% e 32% tra le donne).

 

L’analisi comparata dell’intensità assistenziale riportata nella Tabella 2, tra il gruppo di anziani che ha accettato l’inserimento in Residenza e quello che lo ha rifiutato, non mostra significative differenze. I livelli medio-alti di bisogno assistenziale sono prevalenti sia tra i rifiuti (93%) che tra gli inserimenti (89%). Altrettanto poco differenziato il tempo di attesa per l’inserimento in Residenza (durata lista d’attesa), pari a 698 giorni per coloro che hanno accettato l’inserimento e 627 giorni per coloro che l’hanno rifiutato.

Tabella 2 – Intensità assistenziale.

La Tabella 3 evidenzia che il 70% degli anziani che hanno accettato l’inserimento in Residenza ha un reddito inferiore a € 10.000; percentuale che si alza al 76% per il gruppo che ha rifiutato l’inserimento. Si consideri inoltre che le motivazioni di rifiuto della Lungassistenza domiciliare sono quasi totalmente riconducibili (98%) alla richiesta all’anziano di contribuire economicamente al progetto.

Tabella 3 – Scelta assistenziale e reddito anziani.

 

Conclusioni

Sia l’ipotesi (a) che (b) non sembrano trovare conferme dai dati analizzati. La prevalenza di bisogni medioalti, anche tra i rifiuti alla Residenzialità, fa presupporre che coloro che hanno rifiutato la Lungassistenza domiciliare, e l’inserimento in Residenza, permangano al proprio domicilio con l’aiuto di assistenti familiari pagate privatamente, o con aiuti significativi di familiari che si dedicano al lavoro di cura, ma non vogliono o non percepiscono come vantaggioso inserire tali aiuti domiciliari in un progetto pubblico di assistenza. Una indagine delle ACLI – Iref del 2007, su popolazione fornita dall’Osservatorio sul lavoro domestico dell’INPS4, ha censito 7.586 assistenti familiari con contratto di lavoro che si occupano, nella Città di Torino, di anziani non autosufficienti, dei quali verosimilmente circa 1800 sul territorio delle Circoscrizioni 6° e 7°, oggetto di questa ricerca.

 

Le Lungassistenze domiciliari erogate nella Circoscrizione 6° e 7° sono state in tutto 694, coinvolgendo quindi poco più di un terzo (38%) delle assistenti familiari censite. Dai colloqui con gli anziani e i familiari che hanno rifiutato gli interventi domiciliari e residenziali, realizzati durante la proposta del progetto assistenziale, sono emerse le seguenti considerazioni:

  • per la lungassistenza domiciliare la contribuzione economica dell’anziano risulterebbe comunque vantaggiosa, se si esclude l’ipotesi molto attrattiva di usufruire di aiuti di assistenti familiari non regolarmente assunte e pagate totalmente o parzialmente “in nero”;
  • il calcolo, da parte del Comune di Torino, del livello di contribuzione economica dell’anziano agli aiuti domiciliari e residenziali considera anche l’eventuale patrimonio immobiliare, che dall’assistito, ma soprattutto dai suoi familiari, è percepito come “ricchezza” da destinare agli eredi e, pertanto, da non intaccare, neanche in caso di bisogno assistenziale.

 

In conclusione, la Lungassistenza domiciliare, così come è stata prevista dal Comune e dalle ASL torinesi, non sembra costituire una alternativa alla residenzialità, ma entrambe, per motivazioni economiche, non sembrano essere percepite come adeguate risposte assistenziali alla non autosufficienza degli anziani. Il “fai da te” assistenziale sembra essere di gran lunga preferito. A queste considerazioni legate al dato economico – la rinuncia all’intervento perché l’onere di contribuzione è troppo alto, e quindi la partecipazione ai costi della lungassistenza pubblica rappresenta un fattore di impoverimento del nucleo familiare – si possono aggiungere altre considerazioni, in parte di tipo economico, in parte di tipo culturale.

 

Il processo di lungassistenza prevede una procedura d’accesso che è complessa, nonostante i tentativi di semplificazione messi in atto dalle unità organizzative delle ASL e del Comune: l’anziano, per essere sottoposto ad una valutazione multidimensionale, viene sottoposto ad un’istruttoria sanitaria e ad un’istruttoria socio-economica: lui, o i suoi parenti, narrano la propria situazione ad uffici diversi, con interlocutori diversi. Il percorso d’ingresso ed il successivo percorso di erogazione delle cure domiciliari sono percepiti dai cittadini che ne fanno esperienza come impegnativi, in termini di tempo ed energie: è un costo in più che si aggiunge al quotidiano impegno organizzativo ed emotivo per l’accudimento della persona non autosufficiente. Il “fai da te” assistenziale, in cui le regole vengono definite direttamente dal cittadino interessato, presenta anche il vantaggio non secondario di poter essere autogestito in tutte le sue fasi, senza ulteriori aggravi di raccordo con regole istituzionali spesso frammentate e di non facile comprensione.

 

Inoltre, l’assistenza domiciliare autonoma s’inserisce a pieno titolo in un contesto sociale e culturale in cui la cura familiare è stata, storicamente, l’unica forma di sostegno esistente – per i bambini, gli invalidi, gli ammalati – ed è stata rappresentata come un dovere specifico dei familiari verso i loro congiunti. Inseriti in questa tradizione, i sistemi di welfare, nazionali e locali, non sono riusciti a proporre forme d’aiuto omogenee ed adeguate ai bisogni, su tutto il territorio nazionale, tant’è che, tra gli anziani ultrasessantacinquenni, soltanto una percentuale inferiore al 4% riceve dei servizi (Naldini, 2006); nonostante ciò, come riportato dal Terzo rapporto sulla non autosufficienza dell’ISTAT, nel 2006, tra le persone di 65 anni o più, la quota di popolazione con disabilità è del 19,3%, e raggiunge il 47,7% (38,7% per gli uomini e 52% per le donne) tra gli ultra 80enni. Le cure familiari sono un obbligo e una necessità nella maggior parte del territorio italiano e sono, spesso, l’unica forma di aiuto possibile verso i non autosufficienti: su questo sfondo maturano diffidenza e sfiducia anche verso quelle istituzioni che hanno cercato di strutturare un’organizzazione che invece contempla una connessione tra aiuti di tipo privato familiare e aiuti erogati da enti pubblici.

 

Un’ultima considerazione attiene alla concezione della cura, o meglio, al tema dello “stile di cura”. Il “fai da te” assistenziale potrebbe essere una dichiarazione di competenza nelle proprie capacità di cura, in antitesi ed in opposizione ad un modello di cura che ha al suo centro non il malato ed i suoi familiari, ma il tecnico addetto all’erogazione delle cure (è il modello che deriva da una concezione organicistica della malattia, in cui si privilegiano le terapie specialistiche, di natura prevalentemente riparativa: in questo modello, basato su una divisione del lavoro fortemente tecnicizzata e rigidamente gerarchica, non vi è spazio per la famiglia, il suo stile di cura, le sue idee su ciò che può essere utile). La famiglia, assumendosi l’onere dell’assistenza nel suo complesso, si assume anche la libertà di decidere, di agire, di organizzarsi, senza nessun obbligo di confronto con chi potrebbe dichiarare una competenza tecnica e specializzata tale da costringere a rivedere l’impianto delle prassi di vita quotidiana.

 

La famiglia non può più essere considerata soltanto una risorsa aggiuntiva nel percorso di cura, ma un membro attivo dell’équipe, composta da professionisti, con varie specializzazioni, e da non professionisti, che operano insieme per un fine comune, la miglior qualità di vita possibile per l’anziano non autosufficiente. Un mutamento di prospettiva in questa direzione è già evidente nella programmazione regionale e nel comportamento dei singoli tecnici sanitari e sociali impegnati nelle attività socio-sanitarie. L’interesse verso la negoziazione con la famiglia sul progetto utile ed appropriato ne è una dimostrazione. L’integrazione socio-sanitaria è anche questo: coniugare modelli e visioni diverse in una continuità che consenta alle persone di orientarsi, di scegliere, di progettare, e che riduca la distanza tra le istituzioni ed i cittadini.

Note

  1. Regione Piemonte, DGR n. 17 del 2005, Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti, Torino 2005
  2. Regione Piemonte, DGR n. 41 del 2002, Linee guida regionali per il nuovo modello integrato del servizio di cure domiciliari, Regione Piemonte, Torino 2002
  3. Città di Torino, ASL 1-2-3-4, Domiciliarità: il nuovo modello dei servizi sociali e socio-sanitari, Centro Stampa Città di Torino, Torino 2005
  4. ACLI – Iref, Osservatorio sul lavoro domestico dell’INPS, 2007

Bibliografia

Naldini M. Le politiche sociali in Europa, Carocci, Roma 2006.

Regione Piemonte, DGR n. 17 del 2005, Il nuovo modello integrato di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non autosufficienti, Torino.

Regione Piemonte, DGR n. 41 del 2002, Linee guida regionali per il nuovo modello integrato del servizio di cure domiciliari, Regione Piemonte, Torino, 2002, 2005.

 

Bibliografia consigliata

Brizzi L, Cava F. L’integrazione socio sanitaria, Carocci, Roma 2003.

Censi A. Il ruolo della famiglia nelle residenze per anziani, Animazione Sociale, novembre 1995.

Di Natale R. L’attività domiciliare e residenziale per gli anziani fragili da parte dei Comuni, Indagine svolta dalla Federsanità-ANCI, Atti convegno del Ministero della Salute “L’organizzazione dei Servizi per l’anziano fragile tra omogeneità culturale, livelli essenziali di assistenza e molteplicità organizzative”, Roma 14/7/2005.

Farchi G, Scafato E. La identificazione di indicatori e la creazione di banche dati per lo sviluppo ed il monitoraggio di nuove strategie di prevenzione per gli anziani, in sito web dell’Istituto Superiore di Sanità 2006 www.iss.it.

Foglietta F. L’assistenza domiciliare nei livelli essenziali sociosanitari e sociali, Studi Zancan – Politiche e servizi alle persone 2004;1. Istituto di ricerche educative e formative, Il welfare fatto in casa, Roma, giugno 2007.

Pesaresi F, Gori C. Servizi domiciliari e residenziali per anziani non autosufficienti in Europa, Guida Centro Maderna, Stresa 2005. P

asquinelli S. Nuovi strumenti di sostegno alle famiglie, Carocci Faber, Roma 2007.

Pesaresi F. La spesa per il long-term care, Tendenze Nuove2005;1, Il Mulino, Milano.

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