28 Luglio 2021 | Residenzialità

Abuso e maltrattamento agli anziani: i risultati di un’indagine in RSA

Per rischio clinico si intende la possibilità di provocare un danno, a seguito di una prestazione sanitaria o assistenziale. Anche gli abusi ed i maltrattamenti sono considerati un rischio nello svolgimento delle pratiche sociosanitarie. Informare, formare e supportare gli operatori, è un’ottima strategia di prevenzione.

Abuso e maltrattamento agli anziani: i risultati di un’indagine in RSA

La letteratura corrente fornisce una moltitudine di definizioni adeguate e appropriate sul significato di rischio clinico. Per i nostri propositi, relativamente alla dimensione socio sanitaria, il rischio e la sua relativa gestione, si configura nella possibilità di provocare un danno, a seguito di una prestazione sanitaria o assistenziale. Nella maggioranza dei casi i protagonisti inconsapevoli sono i pazienti. Un rischio, spesso sottovalutato come tale, ma sicuramente preoccupante, è rappresentato dall’abuso e dal maltrattamento degli ospiti delle case di riposo.

 

Rischi correlati al settore socio sanitario

Il rischio e la sua relativa gestione, si realizza in contesti dove emergono chiaramente concetti quali fragilità, disabilità, cronicità. I contesti sanitari da alcuni decenni sono entrati nell’ottica dell’ottenimento dei migliori risultati possibili in termini di gestione del rischio clinico attraverso il miglioramento continuo delle prestazioni in linea con le conoscenze più avanzate.

 

In ambito socio sanitario, è difficile rintracciare sovrastrutture consolidate in grado di misurare e standardizzare i processi di qualità, nonché di prevenzione e riduzione del rischio clinico. Il ‘profilo’ della persona assistita in ambito socio sanitario, le sue condizioni di bisogno assistenziale, si sono modificate radicalmente in questi ultimi anni, sia per effetti demografici, culturali e in ultima istanza per importanti modificazioni legislative. Tale situazione rende indispensabile arricchire i contenuti clinici e di assistenza tipici di questo ambito, nonché la ricerca di evidenze scientifiche e di indicatori di qualità che supportino la trasformazione culturale della gestione del rischio clinico.

 

Il contesto socio sanitario, in particolare quello delle RSA, deve imparare a modellare la propria struttura nell’ottica della rilevazione e della prevenzione degli incidenti, che possono coinvolgere i degenti in età senile, che sono esposti a rischi maggiori rispetto ai pazienti ricoverati in ambito sanitario. Infatti, i rischi correlati al settore socio sanitario, dove viene gestita fragilità, cronicità e disabilità, sono riconducibili alla gestione delle cadute, a danni da contenzione fisica, all’allontanamento del paziente fuori dalla struttura o al suo interno, a traumi da movimentazione, alla gestione della disfagia, agli abusi e alle malpratiche assistenziali sui pazienti anziani, a traumi da movimentazione, alla gestione della terapia farmacologica, alle infezioni nosocomiali, alla malnutrizione e alla disidratazione.

 

La spinta propulsiva delle normative regionali e nazionali ha determinato, anche in contesti non prettamente sanitari, la volontà di seguire un percorso specifico dedicato alla gestione del rischio, nell’ambito sociosanitario. L’utilizzo di una scheda di incident reporting contestualizzata al settore socio sanitario (i cui elementi fondamentali sono costituiti dalla possibilità di enucleare e segnalare una serie di rischi specifici), e il conseguente perfezionamento informatico, hanno permesso di intercettare e isolare rischi specifici correlati al settore, come di seguito riportato.

Confronto tra livello di esposizione al rischio in ambito socio sanitario e sanitario
Tabella 1 – Confronto tra livello di esposizione al rischio in ambito socio sanitario e sanitario
Rischi del settore socio sanitario
Figura 1- Rischi del settore socio sanitario

 

Abusi e maltrattamenti agli anziani: aspetti concettuali

Il rischio clinico, inteso come “possibilità di provocare un danno, a seguito di una prestazione sanitaria o assistenziale” non può non essere considerato parte di un contesto più ampio che include gli abusi ed i maltrattamenti. Lo stesso concetto di danno lo ritroviamo nella definizione data dall’OMS (OMS, 2014): “Per maltrattamento agli anziani si intende un’azione singola o ripetuta, oppure l’assenza di un’azione adeguata, che causa danni o sofferenza a una persona anziana, nell’ambito di una relazione in cui c’è un’aspettativa di fiducia. Questo tipo di violenza costituisce una violazione dei diritti umani e include gli abusi di natura fisica, sessuale, psicologica, emotiva, economica e materiale, l’abbandono, l’incuria e le gravi forme di perdita di dignità e di rispetto.”

 

La mancanza di prevenzione, la mancanza di rilevazione di comportamenti a rischio e di formazione mirata alla conoscenza del fenomeno e delle sue manifestazioni rischiano di occultare gli abusi, inglobandoli nelle normali pratiche quotidiane, perché le persone che si occupano degli anziani affetti da problemi cronici e disabilità possono non rendersi conto che i loro comportamenti, talvolta, rischiano di produrre abuso. Le motivazioni potrebbero essere ricercate in situazioni di lavoro stressanti o di burn out che rivelano alcuni problemi generali che fanno emergere tali bad practice.

 

Questo estratto, che riportiamo, da un articolo di Pietro Vigorelli, apparso su Psicogeriatria nel 2012 ben sintetizza alcune tra le motivazioni profonde che generano comportamenti di mal pratica assistenziale: “focalizzazione sul risultato, (perseguire la qualità valutando solo i risultati ottenuti con scarsa attenzione alle corrette procedure), confusione tra fini e mezzi, (l’attività assistenziale deve essere il mezzo per perseguire il fine che deve rimanere sempre il benessere dell’ospite, la qualità di vita o meglio la felicità possibile), sostituzione della velocità alla lentezza, dell’efficienza all’efficacia, (il tempo non è mai sufficiente, bisogna trovare il modo di fornire una buona assistenza con i parametri che sono attualmente in uso perseguendo quello che per gli ospiti sono gli aspetti più importanti e cioè quelli della vita quotidiana a discapito delle attività programmate, rispettando i loro tempi), eseguire il compito assistenziale senza tener conto della volontà dell’ospite (In RSA la vita quotidiana è scandita in tempi e modi che hanno a che fare con le scelte della struttura o degli operatori; la volontà degli ospiti resta in secondo piano. Inoltre la convivenza tra tante persone rende difficile l’espressione della volontà di ognuno, soprattutto degli ospiti)”.

 

L’abuso è difficile da rilevare, perché i segni possono essere sottili, non sempre evidenti, perché spesso le vittime sono poco propense o incapaci a discutere dell’abuso, perché subentra la vergogna, la paura di rappresaglie o il desiderio di proteggere chi di loro abusa ancor più se chi abusa è chi si prende quotidianamente cura di loro (Rapporto di fiducia). L’abuso può essere intenzionale o meno, e riguarda non solo l’abuso fisico, ma anche quello psicologico ed emotivo, sessuale, finanziario, farmaceutico, nonché la negligenza. Anche la negazione dei diritti civili, la discriminazione e i pregiudizi sono considerati forme di abuso sugli anziani. L’abuso non intenzionale spesso deriva da una mancanza di comprensione delle esigenze e dei sentimenti dell’anziano e dalla difficoltà, da parte di chi assiste l’anziano, di conciliare le esigenze e i desideri di quest’ultimo con le proprie esigenze personali e professionali (OMS, 2017).

 

Come in altri Paesi del mondo, anche in Italia, la violenza contro gli anziani si presenta come una realtà sfuggente e in larga misura occulta, rappresentabile efficacemente come “effetto iceberg” sempre più diffuso e in continua espansione. I dati sulla diffusione del problema in istituzioni quali gli ospedali, le case di riposo e altre strutture di lungodegenza sono scarsi, anche per l’assenza di una specifica legislazione a tutela dell’anziano.

 

Il Ministero della Salute, in una informativa dell’OMS del 2014 riporta che: “Un’indagine effettuata negli Stati Uniti sul personale delle case di riposo suggerisce tuttavia che le cifre siano elevate:

  • il 36% degli intervistati ha assistito ad almeno un episodio di maltrattamento fisico ai danni di un paziente anziano nel corso dell’anno precedente
  • il 10% ha commesso almeno un atto di abuso fisico ai danni di un paziente anziano
  • il 40% ha ammesso di abusare psicologicamente dei pazienti.”

 

Un’indagine rivolta agli ospiti RSA dell’Istituto Redaelli di Milano

L’analisi di alcune segnalazioni di mal pratica ci ha fatto riflettere sul come esse in realtà potessero generare forme di abuso e maltrattamento. La chiave è nel punto di vista. Una segnalazione di mal pratica o di incident reporting è una segnalazione/denuncia di un operatore che rileva un evento/comportamento/azione non corretta. Quindi il rischio clinico viene inteso come un comportamento che può essere letto come abuso o maltrattamento: solo cambiando lo sguardo si può leggere l’impatto e la percezione che quel comportamento ha sulla persona che lo subisce in termini non solo fisici, dove l’abuso diventa evidente, ma anche emotivo, dove l’abuso è più sottile e difficile da cogliere. Cambiare il punto di vista sottende informare, formare e supportare per generare maggiore consapevolezza in chi quotidianamente si relaziona con il paziente fragile in un ottica di prevenzione che tuteli sia l’ospite che l’operatore.

 

Per poter prevenire un fenomeno è necessario conoscerlo, svelarlo e monitorarlo nel tempo. A tale scopo nell’RSA dell’Istituto Redaelli di Milano abbiamo iniziato ad indagare la percezione delle relazioni di cura da parte dei nostri anziani attraverso un’analisi che ci permettesse di cogliere la loro consapevolezza del fenomeno attraverso il racconto dei loro vissuti.

 

Nella ricerca dello strumento più adatto, la letteratura ci offriva indagini rivolte ad operatori, ma non direttamente agli anziani “potenziali vittime”; così abbiamo costruito, attraverso la nostra esperienza ed alcuni strumenti di uso interno alla struttura utilizzati per la valutazione della qualità della vita, un intervista semi-strutturata con poche domande che favorissero un racconto libero e non mettessero a disagio l’ospite. Ci siamo basati sul principio base della ricerca qualitativa secondo il quale non è importante descrivere o prevedere qualcosa in relazione a grandi numeri, quanto piuttosto indagare in modo molto approfondito un singolo aspetto, caso, questione, cercando di ottenere quante più possibili informazioni in merito.

 

Stabilito il metodo siamo passati alla definizione dello strumento inserendo nella nostra intervista semi-strutturata i seguenti elementi:

  • Una sequenza di domande che partivano dal generale per arrivare al particolare, per consentire all’intervistato di addentrarsi gradualmente negli argomenti cardini dell’intervista
  • Alcune “domande sonda”, ossia domande che potessero aiutare l’intervistatore a sollecitare un parere nei casi in cui l’anziano intervistato fosse stato reticente o non avesse al momento un’opinione strutturata, ma doveva crearsela nel corso dell’intervista stessa (Trinchero, 2004)

 

A questo punto era necessario scegliere l’intervistatore. Anche questa scelta è stata ponderata attentamente: un operatore di reparto o in generale un operatore sanitario avrebbe potuto influenzare le risposte, pertanto il compito è stato affidato alle assistenti sociali quali figure “altre” rispetto agli operatori sanitari, ma nello stesso tempo persone note agli anziani, capaci di creare il giusto clima di agio e di fiducia.  Nel 2017, sono stati intervistati 19 ospiti, 7 uomini e 12 donne; nel 2018, sono state somministrate 28 interviste, a 10 uomini e 18 donne, diversi da quelli intervistati l’anno precedente, in grado di rispondere adeguatamente alle domande dell’intervistatore.

 

Di seguito le caratteristiche della popolazione:

  • Età media: 80 anni
  • Mini Mental >=19/30
  • Livello di autonomia: Barthel medio 46/100
  • Tempo medio di ricovero: 3,4 anni nel 2017, 2,6 nel 2018

La tabella 2 riporta gli esiti delle interviste.

Esiti delle interviste rivolte agli ospiti dell’RSA dell’Istituto Redaelli di Milano. Comparazione dei dati 2017/2018
Tabella 2 – Esiti delle interviste rivolte agli ospiti dell’RSA dell’Istituto Redaelli di Milano. Comparazione dei dati 2017/2018

 

Il confronto dei dati tra il 2017 e il 2018 è un confronto di giudizi e di sensazioni rispetto ad una quotidianità ed alle attività che costituiscono il clima ambientale percepito. La numerosità della popolazione dei due rilievi e le persone intervistate non sono le stesse, quindi il confronto non può che essere provvisorio, ma rimane indicativo di un ambiente assai complesso come quello della nostra RSA.

 

In base al significato delle domande poste durante l’intervista, abbiamo identificato 3 categorie di sintesi. Per primo lo stare, in cui abbiamo racchiuso le prime due domande, “Qui si sente a casa” e “Qui si sente al sicuro”; osservando i dati è evidente un miglioramento dei giudizi nella dimensione dello “stare” seppur “Casa è casa, tornerei subito a casa ma nelle mie condizioni di salute non posso, sarei in difficoltà” e “A casa faccio tutto da solo, qui no. Ma qui mi piace l’ambiente e sono in compagnia” anche se “Mi sento al sicuro quasi sempre, tranne quando c’è un operatore che non fa niente”.

 

La seconda categoria riguarda la relazione che raggruppa il sentirsi trattati con rispetto, con gentilezza e ascoltati. Si osserva un lieve calo nel sentirsi rispettati ed un lieve miglioramento negli altri due casi. Inoltre emerge come gli ospiti in molti casi, riconoscano di avere subito un torto ma nello stesso tempo trovano una giustificazione ai loro curanti nella fretta dovuta alla mole di lavoro da compiere “Mi sento trattato con rispetto quasi sempre…alcune persone sono veramente gentili, altri forse sono provate dal lavoro e mi tengono il muso”. “Qualcuno ha più fretta, premura, sono di fretta però anche gli operatori sono oberati di lavoro”.

 

Per ultimo abbiamo identificato sinteticamente il giudizio dell’ospite riguardo all’aver avuto paura o essersi sentito maltrattato. Mentre aumenta il senso di paura spesso non legato a comportamenti subiti, ma osservati su altri “Io per me stessa non posso dire niente. Però la mia vicina, che non parla e che dipende dagli operatori, a volte non viene trattata molto bene…” e riemerge il discorso della fretta “Raramente, magari per la fretta”, “Paura no, ma fastidio e rabbia, si”, diminuisce l’essersi sentiti maltrattati “Maltrattata no, ma un po’ trascurata spesso” ed emergono osservazioni legate anche al servizio offerto “Una volta hanno lasciato i piatti sporchi nella mia camera sul vassoio sopra il mio letto fino alle 22.00 ed io volevo dormire” che pongono in evidenza la percezione dei “gesti assistenziali di contorno”.

 

A partire proprio dalla percezione di “gesti assistenziali di contorno” abbiamo costruito la nostra campagna di sensibilizzazione, diffondendo i dati e gettando un seme verso quella consapevolezza che ci ha portato e continua a portarci verso obiettivi di formazione continua. Poter diffondere i dati, non solo attraverso i seminari ma anche in piccolo gruppo nelle varie unità operative, ha creato un’apertura verso tale argomento svelato come tabù e riconosciuto anche dagli operatori come fattore di rischio. La conseguente trattazione diventa forma di tutela sia per gli ospiti che per gli operatori stessi che iniziano ad osservare gli eventi/comportamenti da più punti di vista immaginandone le implicazioni.

 

Qualità dell’assistenza, qualità della Vita: questionario autosomministrato per gli operatori del Nucleo Stati Vegetativi

Sensibilizzare su un tema così importante sottende anche farsi carico delle conseguenti richieste di aiuto e delle difficoltà segnalate dagli operatori. Come la richiesta di aiuto giunta dal coordinatore del Nucleo Stati Vegetativi che ha riconosciuto il potenziale fattore di rischio insito nel suo team. Farsi carico di tale richiesta ci ha indotti a condurre un’indagine rivolta a tutti gli operatori del nucleo per persone in Stato Vegetativo in collaborazione con le nostre psicologhe del reparto.

 

Siamo partiti dall’assunto che lavorare in un Nucleo con persone in stato vegetativo pone gli operatori a rischio di depersonalizzazione: si tratta di un atteggiamento improntato al cinismo dell’operatore, che vede nell’oggetto delle proprie cure l’origine del proprio malessere e si traduce in indifferenza se non in ostilità vera e propria. Provare frustrazione e insoddisfazione induce infatti un circolo vizioso che può contagiare emotivamente tutta l’équipe esitando in una ridotta empatia come effetto difensivo di gruppo. Rendere gli operatori consapevoli di tale dinamica, considerandola comunemente umana e quindi sgravandola dal senso di colpa inconscio, è il primo e inevitabile passo per modificarla.”

 

La proposta d’intervento era strutturata in tre fasi:
1. Presentazione di un questionario strutturato di auto somministrazione che guidasse l’operatore a riflettere sul valore che le pratiche di assistenza quotidiane hanno per lui e implicitamente ne sottolineasse l’importanza per il paziente e per l’istituzione che li ospita. Il questionario chiedeva di riflettere sia sulla eventuale frequenza di alcuni atteggiamenti che potevano esitare in atti di abuso e di mal pratica assistenziale durante le singole attività, che sulle sensazioni provate dall’operatore testimone dell’evento, sul comportamento conseguente l’osservazione, sulle motivazioni che secondo l’operatore erano la causa dell’abuso ed infine la proposta di possibili modalità di prevenzione.

 

Le 38 schede raccolte evidenziano che gli abusi osservati sono rappresentati da abuso psicologico, fisico e abbandono e che erano distribuiti durante le attività assistenziali, quali igiene, spostamenti e assistenza al pasto (Tabella 3).

Segnalazioni di abusi
Tabella 3 – Segnalazioni di abusi

In particolare è emerso come il momento più critico e più a rischio fosse proprio il momento dell’igiene personale, sia per quanto riguarda le modalità di approccio che il tempo che intercorre tra la richiesta di assistenza e la sua effettiva esecuzione.  A fronte di esperienze dirette o indirette di abusi e malpratiche, abbiamo cercato di esplorare il motivo per cui tali segnalazioni non venivano inviate, facendo emergere le fragilità legate alle difficoltà di segnalazione delle “cattive pratiche”.

 

Interessati ad esplorare anche questo fenomeno per cercare di individuare il livello di separazione tra il pensiero legato al riconoscimento dell’evento e l’azione necessaria per segnalarla, abbiamo costruito un semplice questionario anonimo a risposta multipla contenente ipotetiche motivazioni alla mancata segnalazione individuate dal gruppo:

  • Ritorsione da parte dei colleghi
  • Isolamento
  • Poca fiducia nella presa in carico
  • Timore di provvedimento disciplinari
  • Paura di mettere in cattiva luce il collega (protezione/complicità).

 

Le schede sono state distribuite ad operatori e infermieri di reparto. Su 50 schede distribuite, ne sono state compilate 47. I dati emersi (Tabella 4) indicano la mancata segnalazione sia da ricercare nella sfiducia nella presa in carico effettiva da parte dei superiori della segnalazione (27%). Il 24% delle motivazioni della mancata segnalazione siano riferibili alla necessità di proteggere il collega che è stato protagonista di maltrattamenti, mentre il 20% delle risposte fa risalire al timore di ritorsioni da parte dei colleghi la causa di mancata segnalazione.

Motivi di non segnalazione
Tabella 4 – Motivi di non segnalazione

 

2. Restituzione dei dati agli operatori per offrire uno spazio di condivisione e discussione dove poter analizzare le ricadute di alcuni atteggiamenti sul benessere non solo degli ospiti, ma di ogni singolo operatore nonché dell’équipe nel suo insieme. I dati del Questionario sono stati discussi durante una riunione di èquipe e sono stati la base per un percorso di introspezione e riflessione attraverso la metodologia della Medicina Narrativa. E’ stato proposto agli operatori la compilazione di un diario con poche tracce per guidare il loro racconto ed esplorare il loro punto di vista sul loro “esserci” e sulla loro capacità di relazione di fronte ad un “corpo vivo” e di fronte ai familiari. L’obiettivo era misurare il clima emotivo all’interno del reparto e le relazioni percepite.

 

3. Proposta di una formazione continua volta a ri-trovare nel gruppo di lavoro quella gratificazione che nasce dal riconoscimento reciproco della strada percorsa per tendere a un traguardo comune. I contenuti emersi sono stati elaborati e condivisi in un contenitore più ampio di supervisione guidata da una Psicoterapeuta esperta in dinamiche di gruppo allo scopo di fronteggiare con maggiore efficacia le situazioni di criticità nell’ambito professionale, mobilitare e regolare le emozioni intense che possono bloccarsi aderendo a ruoli professionali rigidi e garantire la manutenzione emotiva dell’equipe curante per prevenire o lenire il rischio burn-out.
Sensibilizzare e formare gli operatori a riconoscere il problema ha evidenziato la necessità di identificare uno strumento di segnalazione che potesse permettere agli operatori di rilevare e fermare un comportamento scorretto e identificarlo come “maltrattamento o abuso”. Tale procedura è attualmente oggetto di analisi nella struttura.

 

Conclusioni

I contesti socio sanitari solo recentemente hanno sviluppato una logica organizzativa volta a perseguire obiettivi di governance e ricerca della qualità, costruendo modelli di servizio basati su linee guida, protocolli, procedure e prassi organizzative capaci quantomeno di prevenire e ridurre i livelli di rischio, soprattutto in considerazione della fragilità delle persone accudite (ospiti con decadimento cognitivo grave, demenze, e tutte quelle situazioni di fragilità dell’anziano).

 

Gli abusi e le mal pratiche assistenziali si collocano a pieno titolo tra i rischi riscontrabili nelle strutture socio-sanitarie. Nessuna struttura è scevra dal verificarsi di abusi e mal pratiche, in quanto sono spesso il frutto di una non adeguata formazione degli operatori e/o di una organizzazione che li nega o non li tiene in debito conto o di un modello organizzativo che premia unicamente la prestazione. L’attenzione al riconoscimento di comportamenti che possono essere annoverati in tale ambito, la conseguente attenzione alla prevenzione ed alla segnalazione di abusi e mal pratiche, oltre ad essere un momento educativo e di sensibilizzazione per gli operatori, contribuisce a rendere trasparente e qualitativamente “eccellente” la prassi assistenziale.

 

La creazione di una struttura che riconosca e governi la gestione del rischio in ambito socio sanitario, partendo da singole criticità proprie del settore, può includere rischi di differente natura, ed arrivare a modificare, attraverso approcci metodologici, formativi e organizzativi, un modello di assistenza basato sul mero soddisfacimento dei bisogni primari a favore di un modello di presa in carico bio-psico-sociale teso al miglioramento della qualità della vita dei pazienti/ospiti e degli operatori.

Bibliografia

Agenzia Sanitaria e sociale Emilia Romagna, (2015), Qualcosa non ha funzionato: possiamo imparare? Il sistema dell’incident reporting in Emilia-Romagna. 2012-2013, Dossier n. 250/2015.

Coccaro e Giorgio, (2019), Tesi sperimentale risk management laurea magistrale, Università del Piemonte Orientale.

Ministero della Salute Direzione generale della comunicazione e dei rapporti europei ed internazionali, (2014), Informativa OMS: maltrattamenti agli anziani.

Trinchero R., (2004), Pedagogia sperimentale online. L’intervista semistrutturata.

Vigorelli P., (2012), Sui maltrattamenti in RSA: diagnosi e prevenzione, Psicogeriatria.

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