25 Febbraio 2022 | Reti informali

L’ultima lettera: voce di un caregiver

Cosa significa oggi prendersi cura di un proprio familiare fragile? Quali sono gli aiuti di cui necessitano i caregivers in Italia? Sergio Schiaroli, condividendo la propria esperienza di caregiver, evidenzia la necessità di rafforzare la disponibilità di servizi assistenziali e sociosanitari a sostegno delle famiglie che si trovano ad assistere familiari affetti da demenza e da patologie oncologiche.

L'ultima lettera: voce di un caregievr

È difficile comprendere l’esperienza di una famiglia chiamata ad assistere un proprio familiare malato e affetto da demenza. Nelle occasioni in cui mi è stato chiesto di presentare pubblicamente il libro in cui racconto la lotta contro l’Alzheimer e il tumore che hanno colpito mia moglie, la premessa è sempre stata la stessa: “per quanto io possa raccontarvi il nostro vissuto, non potete nemmeno immaginare cosa succeda in una casa colpita da malattie come la demenza e quanto essa sia devastante”.

 

Devastante” è la parola che per me meglio rappresenta la situazione del malato e dei famigliari caregivers che se ne prendono cura. Devastato ero io, finito in cardiologia con un infarto, implorando ai medici di farmi uscire subito dopo l‘intervento di impianto degli stent per poter aiutare lei, ormai allettata.

 

Non immaginavo che la sofferenza potesse arrivare a tanto e mi sono interrogato ogni giorno sul senso della vita. L’Alzheimer è una malattia terribile che stravolge le persone colpite e soprattutto i famigliari che se ne prendono carico. Riassumere la trasformazione di mia moglie negli anni della malattia e le innumerevoli difficoltà che si presentavano ogni giorno mi è impossibile in poche pagine.

 

I momenti drammatici sono stati tanti, soprattutto perché il sistema dei servizi non è consapevole di quali siano i bisogni di questi malati e quindi non mette in campo servizi adeguati. Curarla a casa è stato difficile: la demenza la portava a rifiutare qualsiasi medicinale. Anche effettuare alcuni controlli ospedalieri è stato difficilissimo a causa, ad esempio, del suo rifiuto di considerarsi malata.

 

 

Quali servizi per i malati di demenza e per le famiglie?

Durante gli anni in cui ho assistito mia moglie a domicilio o al Centro Alzheimer, ho partecipato alle riunioni periodiche organizzate da AIMA per i familiari caregivers. A queste riunioni era sempre presente una psicologa con lo scopo di aiutare e facilitare le famiglie nel raccontare e condividere le esperienze, allo scopo di sostenersi reciprocamente. Durante questi incontri ho conosciuto tante persone con situazioni diverse tra loro, ma tutte devastanti: figli o coniugi disperati per la fatica di portare avanti una gestione assistenziale difficilissima, senza nessuna speranza di guarigione e, nella consapevolezza, che il peggio sarebbe dovuto ancora arrivare.

 

Nell’imbarazzo generale della prima riunione ho avuto l ’impulso di rompere il ghiaccio con un intervento che ha aperto la strada agli altri caregivers, alcuni dei quali anche in difficoltà economiche nel fornire assistenza ai propri cari o in stato di forte depressione anche per atteggiamenti violenti da parte dei malati. Mi sono reso conto che sarebbe stato utile, fin dall’inizio della manifestazione della malattia, poter partecipare ad un incontro con personale specializzato. Ho provato quasi un senso di rimorso quando ho compreso, grazie all’aiuto dei professionisti, di aver affrontato molti momenti difficili senza sapere come interagire, come relazionarmi con lei.

 

Durante questi incontri gli specialisti hanno infatti formato noi familiari a capire che il “loro mondo” è diverso e che il nostro obiettivo dovrebbe essere la sintonia con il loro modo di essere, senza opporsi in maniera a volte anche troppo decisa, che per i malati rappresenta una ulteriore destabilizzazione.

 

La realizzazione di adeguate strutture territoriali e residenziali per le demenze è ormai improrogabile rispetto ai tanti casi di Alzheimer e al carico che grava sui famigliari che vengono colpiti da questa esperienza. I Centri Alzheimer sono strutture essenziali che devono essere potenziati per consentire ai malati di svolgere, per un tempo più a lungo possibile, una vita sociale attiva attraverso attività terapeutiche specifiche come la pittura, il movimento, il ballo in contesti protetti ma stimolanti, garantendo al contempo ai caregivers un adeguato respiro.

 

Il Centro Alzheimer Margherita di Fano realizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, dato in gestione ad una cooperativa, è la struttura di riferimento principale della Provincia di Pesaro e Urbino. Dotata di ampi e numerosi locali dispone di un ampio parco dove vengono svolte le attività estive. Sono previsti tre diversi livelli di malattia sui quali vengono modulate le attività e il personale specializzato. E’ attiva una convenzione con la Regione per un prestabilito numero di pazienti. Sono operativi anche il servizio mensa per il pranzo e il trasporto per quanti non possono essere accompagnati. L’apertura è su 6 giorni settimanali. Molti dei parenti hanno evidenziato la necessità che la struttura si trasformi anche in centro residenziale per periodi lunghi o, in alcuni casi, limitati per sollevare le famiglie impossibilitate a gestire le situazioni o che necessitano di un periodo di riposo e sollievo.

 

La demenza non è stata l’unica malattia che ha colpito mia moglie. Dopo la diagnosi oncologica i bisogni di assistenza sono diventati ancora più complessi e ci siamo rivolti alla struttura volontaristica A.D.A.M.O di aiuto ai malati terminali. Il loro supporto per noi è stato fondamentale, soprattutto nella gestione a casa durante la fase di allettamento durata oltre quattro mesi e sino al ricovero in Hospice a Fossombrone, essendo sopraggiunta l’esigenza di un’assistenza continuativa anche con attrezzature idonee.

 

Riflessioni conclusive

Ho scelto di raccontare la nostra esperienza, qui sintetizzata, nel desiderio di condividerla con le molte famiglie che vivono e affrontano la malattia di un proprio caro e nell’auspicio che ciò possa contribuire a richiamare l’attenzione su queste problematiche sociali, in continua crescita. Troppo spesso queste tragedie rimangono sulle spalle dei soli famigliari e delle organizzazioni sociali che non usufruiscono di adeguate risorse, pur supplendo alle carenze del sistema socio-sanitario.

 

Bisogna forse esserne coinvolti per rendersi conto di quanto le strutture del territorio, come nel nostro caso il Centro Margherita e le Associazioni Adamo o Aima che realizzano servizi assistenziali a supporto delle famiglie, svolgano un ruolo determinante sia sotto il profilo assistenziale e curativo dei malati che a supporto psicologico e pratico dei famigliari. Spesso vi è stato un rimpallo di responsabilità tra i settori pubblici del sociale e della sanità senza investire in strutture ad hoc, nella formazione di personale specializzato per le demenze, nel non prevedere adeguati aiuti economici per le famiglie che, già in difficoltà, debbono affrontare rilevanti spese per l’assistenza ai propri cari.

 

Le esigenze per i malati e le famiglie sono molto diversificate e complesse e riguardano la medicina generale, la psicologia, l’economia. Per i pazienti sono necessarie strutture e personale qualificato che consenta loro, innanzitutto, di proseguire una propria vita in quanto persone, non dementi da emarginare. L’assistenza domiciliare va riconsiderata come uno degli aspetti fondamentali in quanto l’ambiente meno destabilizzante per i pazienti è proprio la casa. Sarebbe necessario che già la Medicina di base fosse in grado di affrontare il difficile percorso con indicazioni chiare sulle strade da intraprendere a fronte di chi si trova completamente spaesato all’insorgere di alcuni preoccupanti sintomi.

 

I caregivers necessitano oltre che di un supporto gestionale dei propri cari anche di un’adeguata formazione sull’approccio relazionale da utilizzare, alla ricerca di un dialogo che è comunque possibile pur se in forme particolari quali gesti, sorrisi o sguardi.

 

Il mio libro si conclude con una lettera d’amore. Ai miei tempi la “dichiarazione d’amore” o la richiesta della mano al padre della ragazza amata era quasi d’obbligo, io l’ho fatta quando ero ventenne a lei, poi gliel’ho rifatta molte volte, poi ogni giorno. In un tempo in cui mi pare che i sentimenti siano cambiati, non mi vergogno di esternare che ho amato mia moglie come non avrei potuto di più. Per il giorno di San Valentino le ho portato una rosa all’Hospice dove i medici avevano deciso che era necessario farla ricoverare; credo che lei non si sia resa conto di quel fiore sul comodino che poi, il giorno seguente, l’ha accompagnata nell’ultimo tratto di vita.

Bibliografia

Schiaroli S. (2021), L’ultima lettera, edito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano.

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