Migliorare la capacità dei servizi socio-sanitari al fine di soddisfare le esigenze degli anziani è una delle più importanti sfide dei nostri tempi. La maggior parte delle persone anziane, anche quelle che presentano una importante disabilità, preferisce rimanere al proprio domicilio; allo stesso tempo, per effetto dell’introduzione dei DRG, gli ospedali hanno sempre più ridotto la durata della degenza con dimissioni precoci di pazienti instabili e ancora bisognosi di cure.
È anche per questo che l’assistenza domiciliare alle persone anziane ha acquistato sempre maggiore rilevanza. Tuttavia, la responsabilità per il “care management”, tra le varie figure professionali che partecipano all’assistenza agli anziani, rimane scarsamente definita, per cui i pazienti anziani che non hanno un referente unico tra l’assistenza sanitaria primaria e secondaria, e l’assistenza sociale, rischiano di non ottenere gli interventi adeguati. Come viene anche definito nel documento, una possibile soluzione può essere rappresentata dall’integrazione dei servizi sanitari e quelli sociali: questa integrazione è possibile nell’ambito di una assistenza continuativa geriatrica, e attraverso programmi di “case management” (Landi et al., 1999a). Tuttavia, queste strategie che si sono dimostrate efficaci ed efficienti nel documento, non vengono espressamente citate.
Il problema non è quindi solo la definizione dei livelli essenziali di assistenza, ma è soprattutto quello di definire come è possibile realizzare e quindi accedere a tali livelli di assistenza. La sig.ra Maria, ottantenne “fragile”, che ha perso da poco il marito, che abita all’ultimo piano di un palazzo senza ascensore, affetta da diabete mellito in terapia insulinica con frequenti episodi di ipoglicemia, che nell’ultima settimana è caduta a terra, con un solo figlio che vive lontano, con una pensione tale da non permetterle una badante fissa, riuscirà ad essere assistita a domicilio? E se sì, come verrà assistita? La tipologia di assistenza sarà uguale se la sig.ra Maria vive a Palermo piuttosto che a Trento? E chi sarà mai in grado di confrontare, in termini di eleggibilità al servizio domiciliare, la sig.ra Maria siciliana e quella trentina? E ancora, quale analisi di outcome sarà mai possibile in questo contesto? Ammettiamo che la sig.ra Maria abbia i requisiti di accesso alle cure domiciliari (requisiti ben delineati nel documento) sia se abita a Trento che se abita a Palermo; un’altra domanda sorge spontanea: ma la sig.ra Maria e/o i suoi familiari dove devono andare se realmente necessitano di servizi differenti da “integrare” (sanitari e sociali)? In Comune? Alla ASL di riferimento? E nell’ambito del Comune e/o della ASL, a quale porta/sportello devono rivolgersi?
Le prestazioni possibili da erogare a domicilio (occasionali, ciclo programmato, primo, secondo e terzo livello) sono elencate con chiarezza e dovizia di particolari. Inoltre, delineando la tipologia delle cure domiciliari si fa riferimento alla formulazione del Piano Assistenziale Individuale, redatto in base alla “valutazione globale multidimensionale”. Questo è sicuramente un passo fondamentale per la realizzazione di programmi di assistenza domiciliare in tutte le Regioni italiane. Ma altre domande emergono senza trovare risposta nel documento. Basta un elenco dettagliato di prestazioni per organizzare un servizio di assistenza domiciliare? Il Piano Assistenziale Individuale chi lo programma e chi poi lo realizzerà? E perché la valutazione multidimensionale non è più geriatrica ma “globale”?
La valutazione multimensionale (VMD) è da sempre “geriatrica” per definizione. In un triangolo rettangolo, il quadrato costruito sull’ipotenusa é equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti: questo è il Teorema di Pitagora e nessuno si sognerebbe di cambiargli nome. La VMD sta alla geriatria come Pitagora sta al suo teorema! Questa non è la posizione autoreferenziale di un geriatra, ma è una posizione supportata da una infinità di evidenze scientifiche; è importante sottolineare come queste evidenze non derivino solo da studi americani o nord europei, ma anche da innumerevoli studi portati a termine nel nostro Paese (Landi et al., 2001a). Nel documento si parla espressamente di “valutazione globale dello stato funzionale del paziente attraverso sistemi di valutazione sperimentati e validati su ampia scala, standardizzati e in grado di produrre una sintesi delle condizioni cliniche, funzionali e sociali per l’elaborazione del piano assistenziale individuale (PAI) permettendo, nel contempo, la definizione del case – mix individuale e di popolazione”.
Al mondo esiste un solo strumento che fa tutto questo (dimostrato e validato): in Italia si chiama VAOR e nel resto del mondo è conosciuto come MDS (Landi et al., 2000). Se gli obiettivi del documento sono “definire” e “aggiornare” circa i livelli di assistenza delle cure domiciliari,sarebbe stato importante chiamare le cose con il loro nome e dare indicazioni precise, non solo in termini di prestazioni (prelievo ematico di sangue capillare piuttosto che irrigazione dell’orecchio) a chi poi andrà a programmare e quindi realizzare il servizio di cure domiciliari. In relazione a quanto detto, tutte, o buona parte, delle domande che quotidianamente si pone la sig.ra Maria, e quelle del geriatra che scrive, potrebbero trovare una risposta quando la programmazione di un servizio di Assistenza Domiciliare Integrata passasse, oltre che per tutto quello delineato nel documento, anche per questi due punti: a) il modello organizzativo da adottare, b) lo strumento di VMD da utilizzare.
Le evidenze scientifiche ci suggeriscono chiaramente che l’organizzazione migliore è quella basata sull’accesso unico ai servizi sanitari e sociali (unica richiesta ed unico sportello) e sul case manager o coordinatore del caso (Bernabei et al.,1998;Landi et al.,1999b;Landi et al., 2001b; Landi et al., 2004; Onder et al., 2007). Il successo è garantito quando esiste una stretta collaborazione tra case manager, unità valutativa “geriatrica” territoriale e medico di medicina generale. Il case manager rappresenta il braccio operativo della unità valutativa al fine di consentire ai pazienti di identificare un responsabile dei loro problemi, e di dare al medico l’opportunità di stabilire una continuità di assistenza. Questo sforzo di integrazione e collaborazione può essere facilitato e continuamente supportato dall’uso di uno strumento di valutazione multidimensionale di seconda generazione (Landi et al., 1999a).
Lo strumento VAOR per l’Assistenza Domiciliare, infatti, è stato concepito per aiutare lo staff che assiste il paziente ad identificare tutte le sue necessità sia sanitarie che sociali, e ad individuare possibili strategie preventive, curative e riabilitative. Una valutazione globale è il requisito per lo sviluppo di piani di assistenza più adeguati, e solo un intervento diretto agli specifici bisogni può consentire una razionale utilizzazione delle risorse con un contenimento dei costi. Inoltre, la raccolta completa di dati, e la successiva realizzazione di un database, sembra essere il miglior approccio per monitorizzare la qualità dell’assistenza fornita e il suo impatto sulla qualità della vita. Questo nel documento è scritto, e non capisco perché nessuno abbia avuto il “coraggio” di scriverlo chiaramente con nome e cognome per identificarlo in maniera corretta.
Un’ultima considerazione non polemica, e che non riguarda i colleghi e amici che hanno lavorato al tavolo delle cure domiciliari. Leggendo il documento ne avevo avuto il sospetto, l’uso della tecnologia l’ha confermato. Con l’opzione “trova parola” ho cercato nel documento i termini “geriatra”, “geriatria”, “geriatrica”. Solo un risultato positivo, e solo nell’allegato 3 scopriamo che la geriatria è disciplina specialistica che, al pari della medicina interna, può erogare prestazioni a domicilio. Rinnegare sul piano semiologico, e più in generale semantico, la geriatria (ad esempio, non scrivere chiaramente che è il geriatra il protagonista dell’assistenza domiciliare, non scrivere che la valutazione è multidimensionale “geriatrica”) è un errore che non tiene conto delle evidenze scientifiche, dell’epidemiologia e della demografia, e soprattutto confonde i politici e gli amministratori responsabili della programmazione.
Bibliografia
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